MARC QUINN – SELF (1991)
Immagine: Marc Quinn, Self (1991) – http://marcquinn.com/artworks/single/self-1991

di Giordano Pariti

“Mi occupo dei misteri fondamentali dellesistenza, dellenigma della nascita e della morte, che riguardano tutti in maniera diretta e poiché non ci sono risposte, le domande devono sempre tornare su questo tema” – Marc Quinn

Una delle tensioni che ha pervaso numerosi artisti è l’idea di poter contemplare il proprio volto nell’ora della morte o ancora il desiderio di anticipare la mimica del proprio viso defunto, eternizzandolo in una espressione che possa essere approvata e riconosciuta dal soggetto morente.

William Blake nel 1823, quattro anni prima di morire, fece realizzare il calco in gesso del suo volto per evitare che la rappresentazione postuma della sua fisionomia potesse tradire il suo reale aspetto. Dopo più di un secolo Francis Bacon, ispirato dalla maschera funebre di Blake, eseguì una serie di dipinti animando il bianco del gesso col rosa e rosso della carne viva.

Marc Quinn, portando ad estreme conseguenze il processo già avviato da Blake e Bacon, supera il mero intento rappresentativo insito nella maschera funebre rendendola un “oggetto carnale” attraverso l’utilizzo del suo stesso sangue.

Nelle sue parole traspare il senso intimo e profondo dell’operazione compiuta: “Non sono interessato tanto alla sostanza in quanto tale, ma al modo in cui una sostanza corporea si trasforma in qualcosa di spirituale. Sono affascinato dai limiti delle cose e sono interessato al modo in cui una sostanza può trascendere sé stessa e trasformarsi in un corpo vivente”.

Self è una riflessione autobiografica sulla morte; è un autoritratto realizzato in silicone e contenente circa 5 litri di sangue dell’artista raccolti nel lasso di cinque mesi.

Per mantenerne inalterata la struttura e bloccare la naturale consunzione, la scultura è sottoposta ad un processo artificiale di congelamento e collocata in un cubo di plexiglass.

Ogni cinque anni Quinn realizza un nuovo ritratto; preleva il sangue dalle sue vene e lo versa nel calco del suo volto che naturalmente ogni cinque anni appare mutevole perché soggiogato al naturale invecchiamento del corpo.

L’operazione che compie Quinn è quindi una sequenza in progress di contemplazione della fragilità dell’esistenza umana. Ogni singola scultura della sua testa mostra i segni del tempo, l’avanzare dell’età e il cambiamento fisico.

L’artista tenta di eternizzare ciò che per natura non può conservarsi, invertendo le condizioni fisiologiche del liquido ematico: in Self, la struttura dell’opera è mantenuta dal sangue congelato artificialmente, a differenza di ciò che accade nel naturale processo biologico, laddove affinché il sangue possa fluire in un corpo vitale è necessario il calore.

Il freddo, solitamente associato alla morte, divine quindi fonte di vita.

Quinn cerca di costruire un ponte tra la dimensione temporale e l’eternità, tra l’esistenza e la morte,

realizzando autoritratti che mutano nel tempo ma che bloccano la vita in forme imperiture ed immobili.