Quando mi siedo per scrivere una o più Cose dell’altro mondo, mi capita di incagliarmi, di restare indeciso davanti a una folla che chiede di passare. Mi viene in mente un autore, un’opera, una poesia e subito mi pare di fare torto ad altre parole che pure meriterebbero, che mi sembra di avere colpevolmente trascurato. Ad esempio: si può aver pubblicato ventitré puntate senza aver ancora toccato Whitman? Senza Marina Cvetaeva? Se incappo in una cosa di Wendell Berry che andrebbe detta proprio ora, con la massima urgenza, non è che indugio troppo sulla poesia statunitense? E ignoro l’America Latina? Per non contare quel che resta disperso negli oceani della mia ignoranza. A questa declinazione dell’impossibile non resta che arrendersi. E, ogni volta, provare a cominciare da una parte, in questo minuscolo angolo di mondo di un minuscolo lettore che ragiona e sragiona per proporre qualche frammento di poesia. Ma, insomma, in una rubrica che dovrebbe dire di morte e di poesia, non si può lasciare indietro l’Antologia di Spoon River (e ridagli con la poesia statunitense!). Di cui propongo qui due cose (sotto) e un consiglio (qui): leggetela. L’Antologia è un libro accessibile a tutti, che si può leggere come un romanzo o, meglio, come una raccolta di racconti. Che parla la nostra lingua, il sistema di riferimento è tracciabile, è noto. Racconti di nonni. Parla di vita dal lato dei morti. Delle persone attorno a noi, delle loro storie. Delle nostre storie. Ci riguarda. [I fortunati che conoscono le canzoni di Non al denaro non all’amore né al cielo avranno un ulteriore filo di perle da ritrovare nel testo.]

Qui infine ho scelto la storia di due donne, tanto diversa e tanto uguale. Donne spigolose e vive. Questa è la cruda, a volte grezza, materia di cui è fatta Spoon River. Roba vera.

Sonia la russa

Io, nata a Weimar

di madre francese

e padre tedesco, professore dottissimo,

orfana a quattordici anni,

diventai ballerina, mi chiamavano Sonia la russa,

sempre su e giù per i boulevard di Parigi,

prima l’amante di vari duchi e conti,

poi di poveri artisti e poeti.

A quarant’anni, passeé, puntai su New York

e sulla nave conobbi Patrick Hummer,

arzillo e rubizzo, coi suoi sessant’anni suonati,

reduce dalla vendita di un carico

di bestiame nella tedesca città di Amburgo.

Mi portò a Spoon River e vivemmo lì

per vent’anni – ci credevano sposati!

Questa quercia accanto a me è il ritrovo preferito

di azzurre ghiandaie che ciarlano, ciarlano tutto il giorno.

E perché no? Persino la mia polvere ride

al pensiero di quella cosa buffa che è la vita.

Lucinda Matlock

Andavo a ballare a Chanderville,

giocavo a carte a Winchester.

Una volta ci scambiammo i cavalieri

al ritorno in carrozza sotto la luna di giugno,

e così conobbi Davis.

Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,

divertendoci, lavorando, crescendo dodici figli,

otto dei quali morirono,

prima che arrivassi ai sessanta.

Filavo, tessevo, tenevo in ordine la casa, assistevo i malati,

curavo il giardino, e alla festa

andavo a zonzo per i campi dove cantavano le allodole,

e lungo lo Spoon raccogliendo molte conchiglie,

e molti fiori ed erbe medicinali –

gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.

A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,

e passai a un dolce riposo.

Cos’è questa storia di dolori e stanchezza,

e ira, scontento e speranze cadute?

Figli e figlie degeneri,

la vita è troppo forte per voi –

ci vuole vita per amare la vita.

Da Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters

Traduzione di Alberto Rossatti, BUR, I classici blu