Immagine: Guillaume Ziccarelli; 2014 Sophie Calle/Artists Rights Society (ARS), New York, ADAGP, Paris; Paula Cooper Gallery and Galerie Perrotin –
https://www.nytimes.com/2014/05/16/arts/design/in-rachel-monique-sophie-calle-eulogizes-her-mother.html
di Giordano Pariti
Affrontare la morte da vivi è ciò che Sophie Calle e sua madre decidono di fare insieme in Rachel, Monique, installazione presentata alla Biennale di Venezia nel 2007.
L’artista, che prima di questo momento non aveva mai lavorato sulla figura materna, organizza insieme alla madre Rachel (Monique è l’altro nome con cui era conosciuta) l’intero progetto; ne esce fuori un racconto ardito, ironico, affettuoso, leggero, assolutamente privo di commiserazione.
Nel lavoro non si mette in scena solo la morte (data l’impossibilità di coglierla nel preciso istante del suo accadere) ma si fa anche una profonda riflessione su due questioni cruciali: l’avanzare della presenza della morte nella vita ed il tema della morte riconosciuta attraverso la narrazione dell’altro.
E’ una sorta di elaborazione del lutto pre e post-mortem attuata mediante l’utilizzo di foto di famiglia, diari personali, oggetti, registrazioni audio e video.
L’installazione nasce nel 2006, nel momento in cui la Calle scopre che, a causa di una grave malattia, alla madre resta poco più di un mese di vita; nel tempo che rimane, insieme, decidono di realizzare una serie di ultime cose, come l’ultimo viaggio, l’ultima festa, l’ultimo pedicure, l’ultima acconciatura, gli ultimi preparativi per il funerale, l’ultima musica da ascoltare.
Scelgono la foto da mettere sulla lapide, il vestito funebre e l’epitaffio: “Mi sto già annoiando!”
Raccolgono una serie di oggetti da sistemare nella bara (alcune mucche di peluche della collezione di Rachel, il primo volume della Recherche, un pacco di Marlboro, alcune bottiglie di vodka, rum e whisky, foto dei figli, dell’uomo della sua vita e di alcuni amanti).
Con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, la Calle punta una telecamera fissa sul volto della madre allettata per riprendere gli ultimi istanti di vita, nella vana speranza di cogliere il momento in cui la morte taglia il filo dell’esistenza terrena; le riprese saranno montate nel video “Pas pu saisir la mort” (Impossibile cogliere la morte) in cui sono registrate anche le ultime parole che Rachel pronuncia prima di morire: “Ne vous faites pas de soucis” (Non preoccupatevi).
Souci (Preoccupazione) diventa l’emblema dell’intero progetto e viene presentata dall’artista sotto varie elaborazioni come parola scritta, decorazione, dipinto, raffinato ricamo su bianche tende di pizzo.
Souci irrompe drammaticamente anche nella mente dell’artista quando, riflettendo sulla sua personale condizione di donna senza figli, prende coscienza che nessuna cura, nessuna nostalgia sarà riservata alla propria fine e su un pannello incide queste parole:
“Il 27 Dicembre 1986 mia madre aveva scritto nel suo diario: “Oggi mia madre è morta”
Il 15 Marzo 2006 scrivevo a mia volta: “Oggi mia madre è morta”.
Di me non lo dirà nessuno.
Fine”.
Senza narrazione, dopo la morte rimane solo un vuoto, una voragine che inghiotte tutta la vita alla fine della sua esistenza.
Il racconto del tempo che conduce alla morte, la preparazione al distacco, la sofferenza, l’elaborazione dell’assenza, nel lavoro dell’artista diventa quindi necessità di esposizione di un dolore privato che, nella sublimazione in rituale pubblico, si trasforma in pregevole opera d’arte dal forte impatto estetico ed emotivo.