Il webinar è stato condotto dalla dott.ssa Paolina Pistacchi, Psicologa Psicoterapeuta, Ricercatrice e responsabile della direzione delle comunità di accoglienza dell’Istituto degli Innocenti di Firenze.
L’incontro è stato suddiviso in due aree tematiche: la prima orientata sui concetti di separazione e perdita nel ciclo vitale con particolare attenzione al vissuto di perdita e al conseguente concetto di trauma nell’infanzia; la seconda dedicata alla riflessione sugli interventi di supporto al bambino e alla famiglia in difficoltà con particolare attenzione al supporto fornito dalle comunità d’accoglienza a fronte di separazioni traumatiche del bambino dalla figura di riferimento. I partecipanti hanno avuto lo spazio per intervenire con riflessioni e domande al termine di ognuna delle due sezioni tematiche La prima parte del webinar si è aperto attraverso una sollecitazione fornita dalle “Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” che ha permesso di introdurre attraverso metafore, similitudini e figure allegoriche il tema della crescita, del cammino verso il diventare grandi e l’età adulta. La fiaba, in particolar modo, è servita per introdurre i concetti di cambiamento, separazione, perdita insiti nelle fasi del ciclo vitale e le conseguenze sui bambini che spesso provocano importanti reazioni fino a diventare dei veri disturbi traumatici nell’infanzia. Il ciclo di vita delle famiglie è composto da nascite, sviluppo, riproduzione e morte. Ad ogni fase segue una nuova fase e la famiglia ha bisogno di ristrutturarsi per affrontare una situazione nuova (evento critico) che mette in crisi le vecchie modalità di funzionamento. L’assetto familiare e le relazioni tra i membri della famiglia hanno bisogno di cambiare (compiti di sviluppo) a fronte di eventi critici. Nel caso della separazione e/o del divorzio (evento critico paranormativo) è necessario che la coppia genitoriale affronti una ristrutturazione/riorganizzazione delle relazioni familiari attraverso il mantenimento delle funzioni genitoriali che impegnano i genitori in un progetto condiviso di genitorialità. Gli effetti della separazione sui figli, sono fortemente connessi alla capacità dei genitori di elaborare tale evento: non è tanto l’evento critico in sé ad essere fonte di stress, ma sono le modalità e le strategie con cui gli individui affrontano tale evento a determinarne gli esiti (non esiste un solo tipo di separazione). Per molto tempo la ricerca psicologica nel campo della prima infanzia si è orientata sul bambino considerato isolatamente, trascurando le sue relazioni con gli altri. Solo negli ultimi anni un fiorente filone di ricerche che hanno posto le loro radici negli studi di John Bowby e di Mary Ainsworth, ha evidenziato l’importanza della qualità delle prime interazioni del bambino con le figure di accudimento per la costruzione di un modello di attaccamento “sicuro”, di una base “sicura” intesa come elemento strutturante per lo sviluppo cognitivo ed emozionale del bambino. Per il bambino, la parola “trauma emotivo” significa doversi confrontare con una esperienza dalla quale ne è uscito in qualche modo con vissuti di sopraffazione, giudizio, paura, pericolo, tristezza, rabbia o colpa. Alcune esperienze negative possono andare ad intaccare in età evolutiva lo sviluppo psicologico ed emotivo o la costruzione dell’immagine e della stima di sé. Le conseguenze di questi traumi a volte sono esteriormente osservabili, altre volte rimangono segretamente inconfessate fino all’età adulta o per tutta la vita. I bambini sono maggiormente vulnerabili alle esperienze dolorose e hanno un bisogno “vitale” di adulti di riferimento che siano in grado di proteggerli e accompagnarli verso la guarigione delle ferite che, inevitabilmente incontreranno durante l’infanzia. Le conseguenze di un trauma non adeguatamente elaborato possono evidenziarsi attraverso problemi comportamentali o relazionali, oppure col manifestarsi di problematiche dello sviluppo rispetto alle consuete “tabelle di marcia”. Molto comuni sono la comparsa e lo sviluppo di sintomatologie fisiche protratte nel tempo che non riescono ad essere spiegate attraverso il ricorso all’indagine medica, o le regressioni a stadi precedenti di sviluppo, come tornare a fare pipì a letto quando da mesi o anni non accadeva più. Gli eventi traumatici hanno un profondo impatto sensoriale sui bambini piccoli. Il loro senso di sicurezza può essere sconvolto da stimoli visivi spaventevoli, rumori forti, movimenti violenti, e altre sensazioni associate a un evento imprevedibile e pauroso. Le immagini spaventose tendono a ripresentarsi sotto forma di incubi, nuove paure e giochi che rimettono in scena l’evento. In mancanza di una comprensione accurata del rapporto tra causa ed effetto, i bambini credono che i loro pensieri, desideri e paure abbiano il potere di influenzare la realtà e di far accadere gli eventi. I bambini piccoli hanno una ridotta capacità di anticipare le situazioni di pericolo o di garantirsi la sicurezza, quindi sono particolarmente vulnerabili agli effetti dell’esposizione al trauma. Come nel caso dei bambini più grandi i bambini più piccoli sperimentano sia i sintomi comportamentali che fisiologici associati al trauma. A differenza dei bambini più grandi, quelli in tenera età non possono esprimere con le parole la paura, l’impotenza, il vissuto di sopraffazione. Tuttavia, i loro comportamenti ci forniscono importanti indizi circa il modo in cui reagiscono. I bambini esposti ad eventi traumatici sono particolarmente a rischio per la vulnerabilità conseguente al rapido sviluppo cerebrale. I bambini che soffrono di sintomi da stress traumatico hanno generalmente difficoltà nel regolare i loro comportamenti ed emozioni, non sempre sono in grado di realizzare quanto stia accadendo loro, né tantomeno di riconoscere le conseguenze di un evento traumatico su di loro. Al bambino basta sintonizzarsi sullo stato mentale del caregiver per sentirsi al sicuro o in pericolo. A causa dei rischi particolari di sviluppo associati ad esperienze traumatiche dei bambini piccoli, è essenziale che i soggetti vulnerabili siano riconosciuti il più presto possibile e che possano essere messi in atto percorsi e interventi precoci Tutti i momenti di passaggio da un’età all’altra della vita implicano dei processi di elaborazione di natura luttuosa, che devono essere sostenuti da una mediazione sociale e culturale. La nascita stessa dell’individuo è l’inizio del processo di separazione: il bambino esce da uno stato di unione completa con un altro essere. È in seguito al susseguirsi di esperienze di soddisfazione e di frustrazione, di separazione e di ricomposizione che il bambino comincia a prendere consapevolezza di esistere come entità separata dalla madre. All’inizio questo processo di separazione-individuazione avviene all’interno della relazione diadica con la madre, poi progressivamente si allarga fino a ricomprendere il mondo esterno. E’ molto importante aiutare i bambini a comunicare e ad elaborare le emozioni che una perdita può provocare. Quello che succede nel bambino dopo la scomparsa di una figura cara non è prevedibile in modo assoluto, poiché è il risultato di variabili che si intrecciano tra loro, disegnando una realtà diversa per ognuno. Alcune variabili sono da considerarsi di importante rilievo, in particolare: il tipo di relazione con il genitore superstite e il legame instaurato con la persona scomparsa. Molto grave è l’esperienza del lutto quando il bambino vede sparire i suoi punti di riferimento, cioè le persone che gli erano sempre accanto per farlo crescere, come un genitore o una figura di attaccamento. La perdita precoce della figura di attaccamento genera nel bambino un dolore molto intenso, perché viene a mancare ciò che dà significato a tutto il suo esistere e che media e dosa il contatto con la realtà esterna. È necessario prestare attenzione alla capacità che il bambino ha di esprimere le emozioni dopo la perdita subita. È importante aiutare i bambini nella ricerca di parole e azioni capaci di fare comunicare le emozioni che sentono dentro. Per quanto i vissuti di dolore per la perdita possano essere forti e distruttivi, poterli esprimere rimane un passaggio fondamentale che funziona da ponte verso la ricerca di un nuovo equilibrio Quello che viene immediatamente da chiedersi è: quale sarà il futuro di questi bambini? Chi o che cosa potrà sostituire le cure e le attenzioni di cui avevano bisogno nella loro famiglia di origine? Il trauma relativo alla separazione, alla perdita si potrà riparare?
La seconda parte del webinar ha focalizzato l’attenzione sugli interventi in grado di ridurre il più possibile l’insorgere del disagio nel bambino e, nei casi estremi, permettergli di riprendere il proprio percorso evolutivo su “basi più sicure”. È stato dato spazio al concetto di accoglienza focalizzando l’attenzione in particolare sulle comunità che accolgono bambini piccoli e sul ruolo dell’educatore in questi contesti residenziali. Dibattiti molto accesi sono avvenuti sull’opportunità o meno di inserire bambini, soprattutto quando molto piccoli, in comunità per minori. Da più autori è stato affermato come non sia opportuno, ad esempio, inserirvi bambini e ragazzi che dovranno restarvi a lungo, sostenendo l’importanza di privilegiare l’affido familiare perché ritenuto un contesto relazionale più vicino alla normalità, più affettivo e più stabile. Problematiche a volte molto gravi, come ad esempio un abuso o un grave maltrattamento, possono rendere difficile un affido familiare per le complesse dinamiche vissute e i susseguenti problemi che si dovranno affrontare. Molti bambini provengono da situazioni di maltrattamento, trascuratezza ed abbandono, in altri termini sono semplicemente bambini infelici. In questi casi è possibile considerare la comunità per minori, almeno inizialmente, come la collocazione più adatta. I bambini che si trovano a vivere in una comunità spesso hanno sperimentato all’interno della loro famiglia una molteplicità di situazioni critiche e di sofferenze e sono uniti, il più delle volte, da esperienze di maltrattamenti, abusi o abbandoni. Le problematiche familiari, dalle quali giungono possono prendere origine da diversi fattori: la qualità delle cure materne (carenti o assenti); la privazione paterna; la disgregazione familiare (instabilità della famiglia); gli stili educativi (eccessiva severità o permissività); le dinamiche relazionali conflittuali. Esistono famiglie che potrebbero essere “adeguate”, ma che momentaneamente hanno bisogno di un sostegno per situazioni contingenti, come difficoltà di salute o di lavoro, in quanto possono anche essere prive di una rete di supporto. Esistono famiglie invece, che presentano difficoltà più profonde e non temporanee, per le quali l’allontanamento del bambino è necessario e va effettuato il prima possibile.
Generalmente nei bambini collocati in comunità si possono osservare alcune reazioni comuni all’allontanamento dalla figura di riferimento quali:
• Ricordi «intrusivi» ricorrenti che rimettono in scena e riproducono in maniera compulsiva alcuni aspetti della situazione traumatica (anche attraverso i disegni)
• Flashback (spontanei oppure volte scatenati da qualcosa che si associa con il trauma originale. (ad esempio un gesto troppo impulsivo; la vista di un oggetto o di un animale, un forte rumore)
• Incubi (rivivono il ricordo dell’evento traumatico nei sogni che presentano contenuti spaventosi, non sempre chiaramente collegati al trauma e non sempre identificabili
• Gioco post-traumatico, ripetitivo, che contiene aspetti di realtà, scene o sequenze dell’evento traumatico, espressi in maniera esplicita o rappresentati simbolicamente (l’elaborazione del ricordo traumatico, invece, si esprime attraverso un gioco simbolico esplorativo o che riproduce le stesse tematiche dell’evento traumatico, ma in maniera adattiva, cioè i contenuti si modificano in maniera dinamica verso finali alternativi, con raggiungimento dello stato di calmae il ritorno al gioco libero esplorativo)).
• L’iperarousal: iperattività, eccitazione generalizzata, (a volte i bambini sembrano allegri in modo ostentato e «su di giri»; oppure possono scoppiare a piangere o diventare molto tristi all’improvviso oppure lamentare sintomi fisici, come cefalea e dolori addominali).
• Regressioni a fasi di sviluppo precedenti (nell’alimentazione, nel contatto fisico….
La comunità per minori deve poter fornire un ambiente terapeutico: inteso come occasione favorevole per crescere serenamente ed essere aiutato a ripensare in modo diverso alla propria difficile storia Tutti i momenti della giornata hanno rilevanza terapeutica: momenti in cui si gioca, si mangia, si studia, momenti in cui “non si fa niente” insieme aiutano il minore a ricostruire, o spesso ad incominciare a costruire per la prima volta, una propria identità. La vita quotidiana della comunità per minori è importante perché è riparativa, in un certo senso prevedibile, familiare e quindi rassicurante.
La comunità per minori deve poter rappresentare un sistema di relazioni: inteso come «luogo strutturato di relazioni e legami significativi» dove sperimentare esperienze relazionali «riparative» prive dei vissuti abbandonici che hanno caratterizzato le loro precedenti relazioni significative. Sono le relazioni che si instaurano fra coloro che vivono all’interno della comunità: relazioni di adulti con minori, di minori con minori e di adulti che lavorano insieme. Ci sono poi le relazioni con l’esterno: con la famiglia d’origine, con i servizi, con i membri della rete che si prende cura del minore e con il Tribunale per i minorenni.
La comunità deve fornire un contesto educativo: inteso come una sorta di «spazio transizionale di protezione», un terreno d’incontro dove attraverso la mediazione dell’educatore il bambino possa elaborare i cambiamenti che la vita pone davanti. L’adulto, presente anche nei momenti difficili, permette ai ragazzi di sperimentare nuove relazioni e che esistono adulti “buoni”, in grado di occuparsi di loro e di tollerare la frustrazione che deriva dal rapportarsi ad un bambino così affettivamente danneggiato. È importante che l’adulto sappia modulare la relazione con il bambino e creare il terreno dell’incontro. La sua sensibilità e preparazione emotiva devono guidarlo nel trovare le proposte che permettano ai bambini di soffermarsi sulle tematiche dolorose senza generare stati d’animo di difficile contenimento.
L’educatore che ha come strumento professionale l’attenzione al quotidiano funge da contenitore per le emozioni negative, il malessere e la sofferenza ed è in grado di elaborarle insieme al bambino e di restituirgliele trasformate rendendole più accettabili e tollerabili (Base sicura).
In chiusura dell’intervento sono stati forniti alcuni suggerimenti metodologici per parlare ai bambini con storie difficili attraverso l’uso della fiaba. Il racconto fantastico, così come la lettura animata e il gioco simbolico, rappresenta una modalità ideale per parlare ai bambini. Le storie per bambini, siano esse fiabe della tradizione, o racconti fantastici contemporanei, non solo divertono e stimolano l’ uso della creatività e della fantasia, ma avvicinano ai fatti della vita descrivendo un variegato panorama di caratteri e destini, orientano il pensiero, permettono l’elaborazione di problemi e conflitti che il bambino vive profondamente, offrendo modelli alla loro soluzione, guidano verso la crescita e la maturazione poiché dimostrano che solo affrontando gli ostacoli e i problemi della vita, usando in modo costruttivo la propria intelligenza ed ascoltando il proprio “cuore” è possibile diventare grandi. In accordo con il pensiero di I. Calvino, si può affermare che la fiaba riesce a “realizzare massimi risultati servendosi di pochissimi mezzi”. L’educatore che intende usare la fiaba come strumento di lavoro deve riuscire a realizzare delle circostanze in cui “giocare con la fiaba” abbia come obiettivo primario il divertimento del bambino e il sostegno alla sua motivazione perché giocare con le fiabe deve innanzitutto produrre piacere. Se non ci si diverte non c’è gioco, se c’è troppa frustrazione e paura non c’è gioco.
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