Fra gli esseri più improbabili che popolano il nostro incredibile pianeta è impossibile non annoverare le cicale. Una lunga vita ipogea, in certi casi di oltre 10 anni, ma, pare, sempre in numero dispari, prelude alla breve stagione del canto. Risalire un albero camminando sulle zampe di ninfa, lasciare un guscio a metà e diventare un’altra cosa, capace di volare, capace di un suono assurdo, assordante, di volume sproporzionato all’obiettivo. Di questa bestia incomprensibile, di questo alieno non sapremmo fare a meno. Non può darsi un’estate senza cicale, il nostro cuore mediterraneo le aspetta senza saperlo, e quando arrivano scappa una gioia, il mondo sa ancora il giusto verso. La dolce, effimera stagione della luce non è tutto, questo forse ci insegnano ogni anno le cicale. Noi, come sempre, stentiamo ad imparare. Ma riconosciamo le amabili maestre, ci sono care come i gatti, come i passeri.

 

Cicala

Cicala!

Felice tu,

che sopra il letto di terra

muori ubriaca di luce.

 

Tu dalle campagne apprendi

il segreto della vita,

ed è rimasto chiuso in te

il racconto della vecchia fata

che sentiva nascere l’erba.

 

Cicala!

Felice tu,

che muori sotto il sangue

di un cuore tutto azzurro.

È Dio la luce che discende

e il sole la breccia per cui filtra.

 

Cicala!

Felice tu,

che senti nell’agonia

tutto il peso dell’azzurro.

 

Tutto ciò che vive passa

per le porte della morte a testa bassa

e una bianca aria assopita.

Si fa pensiero la parola.

Senza suoni…

Tristemente avvolto nel silenzio

che è il manto della morte.

 

Ma tu incantata cicala,

muori in un concerto di suoni

e tra celesti musiche e luci

sei trasfigurata.

 

Cicala!

Felice tu!

T’avvolge nel suo manto

quello Spirito Santo,

che è la luce.

 

Cicala!

Sonora stella

sopra i campi addormentati,

vecchia amica delle rane

e dei neri grilli,

hai sepolcri d’oro tu

tra gli ondeggianti raggi

del sole che

dolcemente ti ferisce

nell’ardore dell’Estate,

e il sole porta con sé l’anima tua

per farla luce.

 

Sia il mio cuore cicala

sopra i divini campi.

Che muoia cantando lentamente

ferito nell’azzurro del cielo

e una donna che so,

sul punto di spirare,

lo sparga con te sue mani

nella polvere.

 

E il mio sangue sopra il campo

sia limo dolce e rosa

ove spingano le zappe

i contadini stanchi.

 

Cicala!

Felice tu!

Ti feriscono invisibili le spade

dell’azzurro.

 

Federico Garcia Lorca

[da Poesie, Newton Compton, a cura di Claudio Rendina]