«Nell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica si trova un interessante articolo di Giovanni Cucci, dal titolo Morte e digitale. Non è certo la prima volta che gli studiosi si interrogano sull’impatto antropologico della rivoluzione digitale, ma la realizzazione nella vita quotidiana di ciò che Mark Weiser ha definito “computazione ubiqua” (ovvero una presenza talmente pervasiva della tecnologia digitale da passare inosservata) veste l’argomento di una certa urgenza. Affrontare il tema della morte nell’era digitale significa andare dritto al cuore di molte questioni contemporanee. È ciò che fa Cucci, il quale si domanda, tra le altre cose, se può esistere ancora la morte in una società in cui sopravvivono in eterno i profili social, gli avatar, le tracce digitali e comunicative (i “big data”). Anche perché, come scriveva il poeta tedesco, Gottfried Benn, “chi parla non è morto” (Kommt, reden wir zusammen wer redet, ist nicht tot). È proprio in questo senso che gli algoritmi impediscono agli umani il disfacimento terreno, costringendoli a “parlare” per sempre» <Internet, il sogno proibito del capitalismo è realtà: comunicare sempre! Anche da morti>
Edgar Morin nel suo <L’uomo e la morte> sottolineava come già nella storia antica uno dei modi per sognare di perpetuare la propria vita era di lasciare ai posteri parole e opere. Tra le più famose le piramidi in Egitto con le loro mummie, le stanze funebri dove venivano chiuse erano piene di iscrizioni e oggetti che parlavano della vita della persona deceduta. Questo approccio alla morte è continuato nel medioevo come nell’età moderna. Con l’invenzione della scrittura ai monumenti funebri si sono affiancati gli scritti di certi autori, saggi, filosofi e scienziati, lasciati ai posteri per essere tramandati di generazione in generazione. Pensiamo per esempio ai poeti greci e latini che tessevano le lodi agli eroi, agli dei o lasciavano manuali di geometria con concetti ancora in uso oggi. <Euclide: il primo libro degli Elementi>
Quindi è arrivata la radio e la televisione e ancora oggi possiamo ascoltare o rivedere molte persone famose ormai scomparse da anni. Si fanno film su diloro utilizzando molti materiali di repertorio e c’è una trasmissione televisiva <TecheTechetè> in cui gli autori scavano negli archivi della RAI recuperando i materiali coerenti con un certo personaggio e una certa manifestazione, il Festival di Sanremo per esempio, ricordando alcune situazioni di morte che sono rimaste collegate a quella manifeatazione, come il suicidio di Luigi Tengo. <Luigi Tenco: la storia del suicidio, 50 anni fa> Allora qual è la novità introdotta da internet, perché una novità esiste davvero. Prima questo continuare ad apparire e a parlare dopo la morte era riservato a persone ricche e/o famose che potevano costruire monumenti, lasciare dotte scritture o altre opere importanti come quadri, cattedrali come la <Sagrada Famiglia>, nelle intenzioni la più grande cattedrale del mondo cristiano, di Antoni Gaudi. La stampa aveva già permesso a molte più persone di continuare a parlare dopo la morte pubblicando libri, ma era necessario trovare qualcuno che li pubblicasse e li vendesse. Moltissimi libri pubblicati rimangono delle librerie poche settimane per poi scomparire nei magazzini o essere buttati al macero. La novità di internet è che ha reso estremamente democratico lasciare delle tracce di sé dopo la morte.
Oggi chiunque può aprire un blog, partecipare ad un social, pubblicare filmati delle sue vacanze e della famiglia o delle sue opinioni su qualsiasi argomento. Può scrivere dei libri auto-pubblicarli in digitale come ebook che, caratteristica del digitale, potranno rimanere a disposizione dei potenziali lettori molto molto più a lungo delle poche settimane offerte dalle librerie. Insomma oggi chiunque può continuare a parlare dopo la morte e in vita illudersi che chi parla non è morto.