Parte prima.

In questo report sono presenti i primi risultati della ricerca condotta da “Uno sguardo al cielo” sui vissuti emotivi della popolazione italiana che ha risposto al questionario on line da noi inviato nel periodo compreso tra il 12  il 24 maggio 2020 preceduta da una breve rassegna sulle principali indagini condotte in questo periodo.
Le fasi del lockdown sono state certamente difficili, ogni fase con le proprie caratteristiche. Inizialmente il timore del contagio e la paura, alimentata anche dai media con dichiarazioni e immagini forti, probabilmente ha caratterizzato lo stato d’animo della maggioranza delle persone. Successivamente l’isolamento ha prodotto anche ansia, fatica e senso di solitudine. Infine alla riapertura emozioni quali gioia e fiducia insieme a timore e diffidenza verso gli sconosciuti probabilmente si sono imposte maggiormente.

Non per tutti è stata la stessa cosa, questa situazione ha messo per certi aspetti chiunque sullo stesso piano, per altri ha tendenzialmente inasprito le differenze già esistenti. Intanto incominciano ad essere disponibili i dati di varie indagini su come hanno vissuto le persone nelle prime fasi del lockdown.

Alcune indagini già pubblicate o in via di pubblicazione

Una significativa differenziazione di genere risulta per esempio dai dati dell’indagine   “Lavorare ai tempi del Covid-19: il rischio contagio tra gli occupati italiani” promossa dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro emerge la conferma che sono i luoghi di lavoro gli ambiti più rischiosi sia per la rilevante percentuale di popolazione che ha continuato a lavorare anche durante i periodi di isolamento sia perché al lavoro si trascorre buona parte della giornata. L’esposizione al contagio è risulta differente in funzione dell’attività professionale svolta, e per il tipo di attività svolte le donne sono risultate più esposte al contagio rispetto agli uomini. Gli autori dell’indagine hanno stimato che le donne che potrebbero essere contagiate risultano essere 4 milioni e 345 mila e rappresentano il 44% delle donne occupate. Di questa percentuale il 21,6% svolge una professione a rischio contagio molto elevato e il 22,4% a rischio elevato. Valori che risultano di gran lunga più alti di quelli per gli uomini: svolge un lavoro rischioso per il contagio il 16,4% degli occupati. Il tipo di lavoro svolto crea una differenziazione di rischio contagio anche in base all’età.  Tra gli under 35 il 35,1% svolge una professione ad alto rischio, mentre nelle altre fasce d’età la percentuale si riduce attorno al 27%.

Altra differenza riguarda la mobilità sociale e quindi la possibilità di poter accedere a reddito e risorse sociali superiori a quelle della famiglia di provenienza. Il paese da anni risulta piuttosto fermo, e le conseguenze della chiusura di molte attività e della perdita di reddito probabilmente non faciliteranno il superamento di questa situazione. Anche in questo caso la conseguenza è di ampliare le distanze tra cittadini che già hanno meno risorse e cittadini più tutelati. L’ISTAT nel Rapporto annuale 2020 rileva che la mobilità sociale si è ulteriormente irrigidita a scapito delle nuove generazioni e delle fasce più deboli: per il 26,6% dei nati nell’ultima generazione (1972-1986) sconta una mobilità verso il basso superiore a coloro che si muovono verso l’alto, cioè il 24,9%. La distribuzione di genere nei diversi profili occupazionali continua a vedere le donne svantaggiate. Durante il periodo di isolamento, e in molti casi ancora oggi, il lavoro da remoto è stato se non l’unica modalità di lavoro quella comunque frequente per molti lavoratori. Il paese non era particolarmente attrezzato per affrontare questo aspetto in quanto in passato solo una piccolissima parte di lavoratori svolgeva la propria attività in questo modo.  Nel 2019 l’orario di lavoro è risultato rigido per il 77% delle occupate (molto per il 26%) contro circa il 68% degli occupati. Conseguentemente alle diverse tipologie di attività, il lavoro da remoto potrebbe riguardare più le occupate (37,9% contro 33,4% degli occupati), gli ultracinquantenni (37,6% contro 29,5% dei giovani occupati), il Centro-nord (37% contro 28,8% del Mezzogiorno), i laureati (64,2%).

Anche gli studenti hanno dovuto affrontare notevoli difficoltà nel periodo del lockdown: 500 studenti delle scuole superiori della città metropolitana di Milano hanno partecipato all’indagine online “Essere Studenti ai tempi del Coronavirus” lanciato da Terre des Hommes assieme alla rete di EducaPari, condotto nel mese di maggio. Tra gli studenti che hanno risposto al sondaggio, 3 su 4 si sono sentiti soli, soprattutto per non poter vedere gli amici 81%, andare a scuola 45% e fare sport 38,4%. Per più di 8 ragazzi su 10 la convivenza a casa è andata bene, per chi ha risposto “male” il 14% quasi la metà lo imputa al cattivo rapporto con i genitori mentre il  39% alla mancanza di privacy. Il 30% lamenta spazi limitati in casa e il 26% segnala i litigi tra i genitori. 6 ragazzi su 10 dicono di essersi sentiti stressati, quasi 1 su 3 è stato triste, ansioso o confuso. Non manca chi si è sentito felice 14,2%, tranquillo 15,6% e fiducioso 15,2%. La metà dei ragazzi e delle ragazze afferma che questa emergenza li ha resi più consapevoli di ciò che accade attorno, un quarto dice di sentirsi più maturo o responsabile.

Un’altra  indagine è stata svolta a Ferrara a cura di Alietti, Marchetti e Pierucci del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università. Questa indagine era rivolta agli studenti universitari attraverso un questionario online. L’analisi dei dati è ancora in corso ma è stata presentata una prima sintesi dei risultati nel mese di maggio da cui emerge che la situazione ha influito sulle emozioni dei rispondenti provocando un aumento della sensazione di tristezza, noia, ansia tra il 62 e il 70%; un aumento della sensazione di paura, rabbia, disorientamento tra il 51e il 56%; una diminuzione di fiducia e speranza tra il 48 e il 51%; la nostalgia è aumentata, come era immaginabile, in modo significativo per più dell’80%  dei rispondenti.

Al termine di questo periodo il 47% dei rispondenti pensa che aumenterà la solidarietà, ma solo il 10% che aumenterà la fiducia verso gli altri, mentre il 49% ritiene che aumenteranno i comportamenti egoistici ed individualistici e per il 29% aumenteranno la xenofobia e il razzismo. Oltre il 70% compensa questa visione in parte preoccupata ritenendo che aumenterà la forza dei legami con la famiglia e gli amici.

Per quanto riguarda i bambini è stata fatta una indagine dall’Ospedale pediatrico Gaslini e dall’Università di Genova titolata “Impatto psicologico e comportamentale sui bambini delle famiglie in Italia”  Il 64.7% delle persone che hanno compilato il campione è di sesso femminile, con un età media che si colloca nella fascia dei 40-45 anni.  Dall’analisi dei dati relativi alle famiglie con figli minori di 18 anni a carico è emerso che nel 65% e nel 71% dei bambini con età rispettivamente minore o maggiore di 6 anni sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di regressione. Per quel che riguarda i bambini  al di sotto dei sei anni i disturbi più frequenti sono stati l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia.

Una ricerca su “La famiglia ai tempi del covid19” è  stata condotta da un gruppo di ricercatori psico-sociali del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, insieme alla società Human Highway, ha raccolto i dati attraverso un questionario online tra il 30 marzo e il 7 aprile 2020. L’impatto di problemi e stress è maggiore tra le famiglie con figli, il 61% dichiara di vivere una molteplicità di stress, contro il 49% delle coppie senza figli. Lo stress è risultato maggiore per le famiglie con figli piccoli e adolescenti rispetto a chi ha figli giovani adulti. I principali fattori di stress segnalati dalla famiglie con figli sono la paura di ammalarsi o che un familiare si possa ammalare, la paura di non avere soldi per far fronte ad una emergenza e di perdere il lavoro. Quest’ultimo è particolarmente forte nelle famiglie con figli piccoli, così come la paura di doversi indebitare e lo stress dovuto alla conciliazione famiglia e lavoro. I risultati della ricerca sono stati pubblicati nel volume “La famiglia sospesa”. Gli autori scrivono nell’introduzione: « La pandemia si è lasciata alle spalle una famiglia impegnata su molteplici fronti, molto sbilanciata sull’esterno della casa» Fuori casa per il lavoro, per la scuola con la necessità di accompagnare e riprendere i figli, per gli studi superiori e l’università, con spostamenti su mezzi di trasporto affollati, per i pasti, per il divertimento e il tempo libero. « Oggi cosa è cambiato a seguito della diffusione della pandemia? Il distanziamento fisico, la chiusura delle scuole, e di molte attività lavorative, la paura del contagio hanno costretto le famiglie italiane, tutte, anche quelle che hanno la fortuna di trovarsi nelle aree meno raggiunte dall’epidemia, a ritornare in casa». In casa per lavorare, per seguire i corsi erogati a distanza, per cucinare e pranzare tutti i pasti, tutti i giorni. Tra i tanti aspetti significativi dello studio vogliamo indicare che si rileva una differenza di genere nella gestione della situazione: «se ci focalizziamo sulle dinamiche familiari, sono le donne a percepire più cambiamenti positivi familiari rispetto agli uomini. Più nello specifico le madri riportano di fare più attività insieme, di passare più tempo divertente insieme, e di essere maggiormente flessibili nella gestione della vita familiare. I padri, diversamente, sembrano vivere con maggior fatica la vita in casa, essendo generalmente più orientati alla vita fuori casa».

Indagine emozioni, stress e coping durante il lockdown fase tre

L’indagine condotta da Paola Bastianoni, Pierpaola Pierucci e Mauro Serio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara si è svolta attraverso la compilazione online di un questionario tra il 12 e il 24 maggio 2020 e si è concentrato sugli stati d’animo, fattori di stress e comportamenti di coping nella cosiddetta fase tre del lockdown.  L’indagine era aperta a tutti i cittadini. I dati sono in fase di elaborazione ma possiamo anticipare alcuni aspetti.

Il genere ha influenzato notevolmente la disponibilità alla collaborazione nell’indagine, infatti hanno risposto per l’81,5% persone di genere femminile. Nell’indagine “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” condotta dall’ISTAT nel 2018 si rileva che, per esempio, lo stereotipo più comune è quello inerente il successo nel lavoro; infatti il 32,5% delle persone tra i 18 e i 74 anni si dichiara molto o abbastanza d’accordo sull’affermazione che per l’uomo, più che per la donna, sia molto importante avere successo nel lavoro. L’opinione che gli uomini siano meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche  è  il  secondo stereotipo 31,4%,  seguito dalla  convinzione che  sia  soprattutto  l’uomo  a  dover provvedere alle necessità economiche della famiglia 27,9%. Interessante appare il fatto che non esistano grandi differenza tra uomini e donne nel condividere questi stereotipi. 

Per non ricadere in stereotipi al limite anche di segno positivo ma che in quanto stereotipi producono sempre conseguenze limitanti sulle persone, rileviamo nei fatti questa maggiore disponibilità ma non azzardiamo valutazioni e tantomeno spiegazioni.

Rispetto all’età dei rispondenti il 35,2% è di età inferiore a trent’anni, il 31,1% ha un’età ompresa tra 31 e 50 anni, il rimanente 33,7% ha un’età superiore a 50 anni. Esistono alcune differenze significative tra maschi e femmine. Le femmine sono distribuite in modo abbastanza omogeneo tra le diverse fasce di età con una leggera prevalenza nella fascia fino a 30 anni mentre per i maschi abbiamo una forte presenza di persone nella fascia oltre i 50 anni, come da grafico.

Per quanto riguarda la provenienza geografica il 73% delle risposte sono pervenute da persone residenti o domiciliate nelle regioni del nord, di queste il 28,7% dalla provincia di Ferrara e il 17,9% dalla provincia di Bologna.

Ritorno alla normalità?

Il tema della paura e della sicurezza pervade le nostre società, la paura è diventato un tema forte sia per fare notizia, e conseguentemente attrarre lettori e like, sia per influenzare le opinioni e creare consenso per i politici che vogliono mettere a frutto una loro rappresentazione di baluardi contro un qualche pericolo, o almeno cercano di farlo. 

Gli stessi meccanismi possono essere utilizzati per ottenere scopi che possiamo o meno condividere, ma non è lo scopo che definisce i mezzi efficaci che vengono utilizzati. Ecologia e paura della distruzione del nostro ecosistema o chiusura dei porti contro la paura di essere invasi dall’altro da noi. Anche durante questo periodo due paure contrapposte  sono state utilizzate da opposti schieramenti, da un lato la paura del contagio e della possibile morte per ottenere che le persone si adeguassero alle direttive di governo e bio-tecnici e dall’altra la paura della crisi finanziaria, della povertà, della perdita dell’autonomia economica per contrastare queste direttive e richiedere che fossero allentate da parte di imprenditori, delle loro associazioni e degli economo-tecnici. Poteva apparire che le persone fossero sballottate tra queste due paure con posizioni radicalizzate nei dibattiti televisivi e sui social, quindi era interessante richiedere un parere a loro. Abbiamo quindi chiesto di esprimere come si sentono in questo momento in riferimento alla nuova situazione che si sta verificando posizionandosi vicino ad uno stato d’animo oppure all’altro. Tra spaventato e sicuro i maschi hanno risposto al 74% che si sentono sicuri e solo il 13% ha dichiarato di sentirsi spaventato. Per le donne il 54% ha dichiarato di sentirsi sicura e il 18% di sentirsi spaventata. Pur essendoci una buona maggioranza di persone che si sentono sicure rimane una percentuale non indifferente di persone che continua a sentirsi spaventata.

Cosa ci irrita, quali sono gli aspetti che attivano la nostra irritazione? In che modo invece possiamo sentirci rilassati, senza particolari tensioni? Ci sono montagne di libri e manuali e corsi che intendono insegnare alle persone ad essere rilassati e a non farsi prendere dall’irritazione, e questo ci fa pensare che l’argomento stia particolarmente a cuore alle persone anche se possono venire in mente due ipotesi: o le persone sono particolarmente restie ad imparare i metodi proposti oppure questi metodi hanno una efficacia piuttosto limitata visto che si continuano a stampare libri e promuovere corsi e le persone insistono ad essere piuttosto interessate all’argomento che evidentemente non hanno ancora assimilato.

Sicuramente viviamo in una società alquanto complessa con una molteplicità di situazioni che sono stressogene e ci spingono costantemente ad avvicinarci ai nostri limiti di capacità e sopportazione. In questo periodo ci siamo trovati di fronte ad un aumento di alcune di queste situazioni stressogene o quantomeno irritanti, dalla convivenza forzata alla mancanza di svaghi abituali, ma nello stesso tempo per molti ha significato potersi staccare per un periodo non breve dalle routine quotidiane, dai tempi contingentati e dalle azioni stereotipate.  Per esempio dalla ricerca sulle famiglie prima citata risulta che molte persone hanno riscoperto il piacere di trascorrere del tempo divertente con la propria famiglia. Abbiamo quindi chiesto come si posizionassero tra essere irritati o rilassati. Gli uomini hanno risposto che si sono sentiti rilassati per il 63% anche se il 22% ha risposto di sentirsi irritato. Per le donne il 50% ha risposto di sentirsi rilassata e un buon 29% di sentirsi irritata. Che questa situazione possa essere influenzata dai ruoli di genere che ancora vedono la donna più coinvolta nelle dinamiche di accudimento e gestione familiare, in una situazione che ancora vede scuole chiuse e molti lavori svolti nell’ambito domiciliare, può essere una ipotesi ragionevole anche se non abbiamo la possibilità di verificarla.

Come siamo fatti, in che modo ci rappresentiamo? Da tempi immemorabili utilizziamo gli animali per rappresentarci. Essere o fare l’allocco quando ci si comporta da sciocchi o si finge di esserlo.

Essere un’anguilla quando si sguscia via da situazioni difficili o domande antipatiche. Essere un’aquila quando riusciamo a risolvere problemi e comprendere le situazioni con grande intelligenza. Essere un asino, oppure un baccalà o un barbagianni. Essere un toro, un leone oppure essere un pescecane o una iena. Nel nostro comune linguaggio utilizziamo spesso immagini di animali per rappresentarci o rappresentare altri. Un modo comodo di rappresentazione che ci salva dalla difficoltà di rispondere alla domanda chi siamo o come siamo fatti o in che modo funzioniamo. Abbiamo quindi chiesto di scegliere da quale animale si sentissero rappresentati tra quelli elencati. Le donne hanno scelto per il 35% di essere rappresentate dal gatto adattabile e indipendente contro il 27% degli uomini. Il più scelto dagli uomini per dare una rappresentazione di se stessi è il gufo osservatore attento con il 34% contro il 24% delle donne. Più vicine tra uomini e donne le scelte del cane da pastore paziente e fedele con rispettivamente il 18% e il 20% e del lupo forte e coraggioso con rispettivamente il 9% e l’11%. Abbiamo verificato se nelle scelte l’età fosse un fattore significativo: nella fascia fino a 30 anni abbiamo che il gatto è stato scelto dal 31% delle donne e dal 30% degli uomini, mentre il gufo rispettivamente dal 29% e dal 38%. Possiamo intravedere una coerenza tra la scelta della propria rappresentazione e le risposte relative a sicurezza e sentirsi rilassati.

Stiamo quindi ritornando alla normalità? Da queste prime risposte analizzate possiamo pensare che le persone siano ben disposte per riprendere impegni e anche svaghi che avevano prima dell’emergenza rappresentandosi principalmente in modo competente, autonomo e capaci di muoversi adeguatamente nella nuova realtà che non potrà più essere quella precedente ma che probabilmente pensano di poter affrontare facendo affidamento sulle proprie competenze ed esperienze maturate prima del covid 19.

Continua …

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