Una rosa rossa sulla rete dove arrivano le rotaie verso l’indicibile del male. Solo il rumore nel vento dei ciottoli calpestati. In silenzio. Auschwitz è un pellegrinaggio e come pellegrini va percorso. Attraverso la memoria che deve restituirci alla vita. Così oggi lo attraverserà papa Francesco con il suo silenzio che parla ad alta voce. «Io vorrei andare in quel posto di orrore senza discorsi, senza gente, soltanto i pochi necessari… Da solo, entrare, pregare. E che il Signore mi dia la grazia di piangere». Il 26 giugno, sul volo di ritorno dall’Armenia, Francesco aveva risposto in questo modo a una domanda sulla visita ai campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, una delle tappe più significative di questo viaggio che lo ha portato nella “capitale della misericordia” e nel luogo simbolo della Shoah. In questi giorni di lutti e di orrori nel mondo dove il silenzio è l’impossibilità di esprimersi di fronte a uno spazio recintato dall’odio nel quale la catastrofe e l’iniquità ammutoliscono, il camminare di Francesco attraverso il campo di sterminio sarà un atto di libertà e di speranza.Francesco passerà a piedi sotto l’arco con la scritta Arbeit macht frei (“Il lavoro rende liberi”) dell’ex lager, come i detenuti del passato e i visitatori di oggi, e si porterà tra le baracche dove hanno trovato la morte oltre un milione di ebrei europei, 23mila rom, 15mila prigionieri di guerra sovietici, insieme a decine di migliaia di cittadini di altre nazionalità. Guardando il filo spinato che circonda le baracche tornano in mente le parole che Francesco aveva pronunciato al memoriale dello Yad Vashem nel suo viaggio a Gerusalemme: «“Adamo, dove sei?”. Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: “Adamo, dove sei?”. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: “Dove sei?”, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo…». E a conclusione era ritornato al presente: «Voglio dire, con grande umiltà, che il terrorismo è male! È male nella sua origine ed è male nei suoi risultati. È male perché nasce dall’odio, è male nei suoi risultati perché non costruisce, distrugge». (Tratto da Avvenire)
Impossibile oggi scindere la riflessione sul lutto da quella sulla memoria. Quello relativo all’Olocausto è un lutto universale, che ci tocca anche se non ha attraversato direttamente le nostre famiglie. Ci sono lutti che appartengono all’umanità. Ci sono lutti che possono essere elaborati solo se concretamente ci impegniamo a fare qualcosa non solo per non dimenticare ma per attivare un ricordo che equivalga a dire “mai più”.
Il lutto, il dolore che ancora oggi proviamo deve farci alzare la testa e lo sguardo per poter affermare il nostro impegno contro tutte le dittature presenti e passate e l’eterna volontà di essere, come dice Liliana Segre, uomini e donne di pace e di libertà.