Una Fiat milletrecento con a bordo madre, padre e due figli, viaggia in autostrada rientrando da un disastroso weekend al mare. Hanno tutti la pelle ustionata e segnata dai becchi di zanzara, unici segni di tre giorni in cui per andare in spiaggia dovevano percorrere a piedi qualche chilometro, perché l’albergo era distante e, per di più, serviva cotolette dure per cena. Il padre sfreccia a tutta velocità. Ha fretta di tornare a casa. Ma la madre ha bisogno di rinfrescarsi e comincia ad essere stanca per il viaggio. Un figlio ha sete. L’altro ha fame. La soluzione più semplice sarebbe quella di fermarsi in un autogrill, il primo che si incontra per strada. Ma il padre non ne vuole sapere: più ci si ferma e più tardi si arriva a casa; che cosa saranno mai trecento chilometri senza mangiare, senza bere e senza pisciare? È sicuro di sé il padre: sorpassa sprezzante i rottami di un incidente. Li riconosce subito, lui, quelli che al volante portano solo grane: le donne, quelli con il cappello, i napoletani, le macchine gialle. Ma soprattutto le donne. Se poi una donna soddisfa tutte queste caratteristiche la botta è assicurata. C’è un autogrill a pochi chilometri. Il padre sembra convincersi. Forse si ferma. Ma all’improvviso, un tir di barbabietole gli si para davanti. È deciso. Deve dargli una lezione di guida. E così ingaggia una gara con il tir, deciso a superarlo. La moglie lo avvisa. Se supera il tir poi non riusciranno a rientrare nella corsia in tempo per fermarsi all’autogrill. E chissà quando poi si convincerà di nuovo a fermarsi. Ma l’uomo non cede. Darà la prova di essere un guidatore alfa ed effettuerà la manovra in tempo per arrestarsi proprio davanti all’autogrill. Ancora un po’ di gas. Una curva decisa. Ecco. Il muso della Fiat si ferma a pochi centimetri dalla vetrata. Entrano nell’autogrill, così accogliente e pulito da desiderare quasi di trascorrervi la notte. Bevono coca e caffè e usano i servizi. Poi arriva il momento di uscire. Ma non usciranno mai dall’autogrill. Un enorme provolone bianco li ferma e un improbabile gestore dell’autogrill li ammonisce continuando a ripetere loro che non si esce senza pagare. Non usciranno mai dall’autogrill. Ma, in realtà, non ci sono nemmeno entrati.

Autogrill Horror è uno dei racconti contenuti nel geniale romanzo di Stefano Benni “Il bar sotto il mare”. È una storia. Solo una storia. Negli anni Settanta/Ottanta, per la verità, una storia piuttosto frequente. Oggi non è esattamente così. Non ci sono le Prinz, né le Fiat milletrecento. Ma esistono ancora famiglie che vengono spazzate via da incidenti stradali dai quali non c’è ritorno. Nonostante i divieti, le raccomandazioni, i dispositivi di sicurezza. Bastano pochi secondi e il viaggio finisce per sempre.

I dati parlano di oltre seimila bambini morti in Europa negli ultimi dieci anni.

Stefano Benni ci racconta di una famiglia normale. Ci racconta di “normali” stereotipi e di profezie che si autoavverano. La tutela dei minori è anche questo. Pensare al loro bene, alla loro sicurezza, nei piccoli gesti quotidiani. Anche in quelli in cui ci sentiamo forti, sicuri. Quelli che, apparentemente, rappresentano le nostre zone di comfort. Il padre nel racconto ignora i bisogni dei propri figli. E, quando decide di accontentarli, lo fa solo perché l’autogrill diventa un immaginario traguardo che sancisce la definitiva vittoria di uno dei due. Il migliore ed il peggiore.

L’ho fatto per voi… avete insistito, recita Stefano Benni. Bugiardo! L’ha fatto perché così il camion non potrà più superarlo e la gara è vinta. Per l’eternità! […] E chi si accorgerà del rottame di auto in fondo al prato? E della valigia rotta con pochi calzini due palette da sabbia un giornalino un cappello di paglia uno spray antinsetti un dopobarba? E chi ascolterà la pena della luna, il moritat dei grilli e lo strillo del maiale, dentro il camion, verso il suo destino?

Monica Betti

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