Qualche settimana fa ero a casa di mio zio, quella in cui sono cresciuto, ricca di ricordi felici legati alla mia infanzia e trascorsi con mia nonna, una delle persone più importanti della mia vita.

Stavo giocando in sala, con la mia nipotina di due anni quando all’improvviso lei ha iniziato ad indicare tutte le foto collocate sui mobili della stanza. Ritratti dei nostri familiari che, purtroppo, ci hanno lasciato: parenti lontani, zii e cugini di terzo grado che né io e mia sorella abbiamo mai conosciuto. Oltre a loro, sono presenti in un ripiano del mobile due quadretti, disposti uno accanto all’altro, con le fotografie di mia nonna e di mio nonno.

Mia nipote, rivolgendosi in quella direzione, mi ha guardato con curiosità indagatrice.

Le ho sorriso e le ho detto dolcemente che sono i suoi nonni, che però non ci sono più ma sono in cielo. Lei ha puntato un dito verso l’alto, al cielo.

Ho pensato a quanto, noi adulti, ci troviamo in difficoltà quando i bambini iniziano a porre delle domande sulla morte e sulla assenza delle persone che sono state fondamentali per la nostra crescita. Impacciatamente, presi in contropiede da queste domande esistenziali espresse in modo schietto e diretto, cerchiamo di trovare risposte che siano esaustive ma, nello stesso tempo, che non arrechino turbamento.

Perché dovremmo essere restii a “presentare” le persone che non ci sono più nella vita reale quando nelle nostre sale si allestiscono dei piccoli altari creati proprio per omaggiare coloro che non vogliamo dimenticare e che, anzi, vogliamo rendere partecipi alle nostre attività quotidiane anche attraverso una foto che rende la loro presenza più vicina?

Penso che la resistenza a parlare di perdita e di morte ai bambini sia, perlopiù, motivata dalla convinzione, assai diffusa, che sia un argomento che dovrebbe rimanere velato fino a quando essi giungano ad una maturità che consenta loro la comprensione dell’evento.

Tuttavia, la difficoltà che noi adulti riscontriamo non credo sia tanto quella di trovare una spiegazione che “non li spaventi” ma anche, e direi soprattutto, perché noi stessi siamo i primi ad essere timorosi e confusi: abbiamo paura a prendere in mano e osservare quelle foto per timore di sollevare un velo intriso di sentimenti di perdita e di mancanza con cui non abbiamo mai fatto i conti.

Posiamo, invece, uno sguardo amorevole su quei ritratti e rispondiamo ai nostri figli narrando di quelle persone e dei nostri legami familiari e parentali. Solo così riusciremo ad attribuire, nel cuore dei bambini, la stessa centralità che le loro immagine occupano sui mobili della sala.

Categories:

Tags: