“Caro Dio, 

mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo.

Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è soltanto una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.

La prova? Per esempio, prendi l’inizio della mia lettera: “Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo”. Avrei potuto esordire dicendo: “MI chiamano Testa d’uovo, dimostro sette anni, vivo all’ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno tu esista”.

Ma, se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e ti interesseresti meno a me. E io ho bisogno che t’interessi”.

Eric-Emmanuel Schmitt inizia così il suo romanzo “Oscar e la dama in rosa”, romanzo che parla di un bambino, di soli dieci anni, la cui vita sta per finire a causa della leucemia. “E’ solo un libro”, potrebbe pensare qualche lettore una volta giunto alla fine, quasi per prendere fiato, quasi per scrollarsi di dosso uno stato d’animo pieno di pensieri pesanti. E invece no, non è “solo un libro”, purtroppo, è la realtà all’interno degli ospedali, nei reparti di pediatria oncologica.

Oggi, 15 febbraio 2024, ricorre la giornata mondiale contro il cancro infantile, giornata che è stata istituita nel 2002, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, con lo scopo di informare e affrontare ogni anno i problemi dei bambini e degli adolescenti con tumore, e delle loro famiglie. 

Vite private di una quotidianità “leggera”, vite liberate da ciò che è effimero. Cuori appesantiti da macigni, cuori alleggeriti dalle frivolezze. 

Quanto dura una vita? Non ci è dato saperlo in anticipo: ci aspettiamo sia lunga o, al contrario, c’è chi si sente soffocare e la vorrebbe breve. 

Questi bambini, e le loro famiglie, hanno dovuto accoglierla per quello che è: imprevedibile. Bambini che non si spettinano perché hanno “teste d’uovo”, come dice il nostro Oscar, che ha imparato a scherzarci su; adulti che faticano a concedersi anche solo una “bella dormita” nel proprio letto in quanto, al solo pensiero, vengono avvolti dai sensi di colpa verso il figlio malato. 

In questa giornata ricordiamoci di loro, che sono poi un noi, stringiamoci attorno al loro dolore, che è poi anche nostro, per sbriciolarlo e prendercene un pezzetto a testa. Ma non dimentichiamo di scherzare, di sorridere, di ridere, di abbracciare, di divertirci, perché anche questo è rispetto per la vita, di questi bambini e adolescenti in primis, per Oscar che ha la forza per chiamarsi “testa d’uovo” e scrive, tramite la fantastica penna di Schmitt: 

“Ho cercato di spiegare ai miei genitori che la vita è uno strano regalo.

All’inizio lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita eterna. Dopo lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, sarebbe quasi pronto a gettarlo. Infine, ci si rende conto che non era un regalo, ma solo un prestito. Allora si cerca di meritarlo.”

Andiamo a meritarci la vita, soprattutto in questa giornata.

Silvia Cantelli, dottoressa in Scienze dell’educazione

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