Una malattia rara viene definita come una condizione che colpisce una piccola parte della popolazione: si tratta di malattie prevalentemente di origine genetica caratterizzate da cronicità, gravità clinica, invalidità e difficoltà diagnostica che seguono la persona che ne è affetta, per tutta la vita, anche se i sintomi possono non essere presenti alla nascita. Malattie croniche, quindi, che spesso riducono la speranza di vita e che comportano pertanto, oltre alle problematiche di ordine psicosociale, economico, diagnostico e terapeutico comuni a tutte, una serie di diversità che emarginano le persone in uno spazio a sé stante, provocando in tal senso condizioni di solitudine, discriminazione e cronicità.
A trovarsi in difficoltà sono soprattutto i bambini e, di conseguenza, i loro genitori che troppo spesso si trovano a lottare, oltre che con la malattia, anche con la quotidianità, affinché i loro figli vengano inclusi ed integrati nei sistemi educativi che ancora oggi, il più delle volte, risultano inadeguati rispetto alle specifiche esigenze di chi deve convivere con una malattia rara.
Dal punto di vista medico spesso la realizzazione di una innovazione neiprocessi di curarichiede tempi lunghi rispetto alle necessità dei pazienti: difficoltà medico scientifiche, considerazioni etiche, unitamente a lentezze burocratiche possono ostacolare l’effetto pratico delle nuove conoscenze e tecnologie. Viene così a prodursi un divario tra le speranze indottedalla scienza – e spesso amplificate dai media – e le possibilità di modificare realmente la vita dei piccoli malati.
Diversi medici pediatri evidenziano come bambini, con gravi malattie evolutive, esposti a nuovi principi attivi, a volte abbiano ottenuto rapidi ed inattesi benefici, a volte – invece – si sia giunti solo a prolungare le loro sofferenze e quelle dei familiari in un involontario accanimento terapeutico. Sono questi i soggetti che meritano particolare attenzione sotto il profilo delle scelte etiche e scientifiche.
Nel dicembre del 2021 è stata adottata una Risoluzione dalle Nazioni Unite che riconosce la necessità di promuovere e proteggere i diritti umani di tutte le persone, compresi i 300 milioni di individui che vivono con una malattia rara in tutto il mondo, al fine di promuovere ed incoraggiare le strategie nazionali e la collaborazione internazionale.
La Risoluzione espone come sia viva la necessità di affrontare le cause profonde della diseguaglianza e della discriminazione subita dalle persone affette da una malattia rara e dalle loro famiglie, riconoscendo la necessità di politiche e di programmi per prevenire e combattere i pregiudizi, favorire l’inclusione e creare un ambiente che possa favorire il rispetto dei loro diritti e della loro dignità.
Nonostante si tratti di malattie diverse fra loro, i soggetti che ne soffrono condividono le stesse difficoltà, legate alla rarità delle stesse. Sicuramente in primis si deve citare la difficoltà nell’ottenere la diagnosi tra la comparsa dei primi sintomi e l’accertamento della malattia: spesso trascorrono lunghi periodi di tempo durante i quali la malattia non è riconosciuta o viene effettuata una diagnosi errata, spesso con la somministrazione di farmaci e terapie inadeguate. I costi necessari per affrontare una malattia di tal genere, insieme alla mancanza sia di benefici sociali sia della possibilità di rimborso delle spese sostenute, generano un impoverimento economico della famiglia.
Le eventuali terapie innovative non sempre sono disponibili nei Paesi della Ue con le stesse modalità: ciò dipende da ritardi nella determinazione dei prezzi dei farmaci, dalle decisioni relative alla loro offerta gratuita da parte del servizio sanitario come dall’assenza di linee guida o raccomandazioni relative alle terapie.
Tra gli obiettivi da perseguire importante è assicurare la continuità assistenziale, diminuendo i tempi fra l’inizio della patologia e diagnosi e assicurare le cure appropriate nei luoghi più adatti all’erogazione, garantire la miglior qualità di vita possibile in funzione delle condizioni cliniche, la maggior inclusione e ruolo sociale, le maggiori opportunità di realizzazione nella dimensione lavorativa e sociale, sostenendo l’accompagnamento ed il supporto psicologico alla persona, al fine di acquisire un ruolo consapevole e partecipativo nella gestione della propria salute e nelle proprie scelte di vita.
Ben venga quindi la Risoluzione Onu, citata, ove si afferma che le persone che vivono con una malattia rara devono poter avere accesso alla protezione sociale e all’assistenza che consenta il pieno ed equo godimento dei loro diritti e che gli garantisca una famiglia sicura ed un ambiente solidale.
Per tale ragione, gli Stati membri vengono invitati a “rafforzare i sistemi sanitari, in particolare in termini di assistenza sanitaria di base, al fine di garantire l’accesso universale ad una vasta gamma di servizi sanitari e di assistenza sicuri, di qualità, disponibili, convenienti, tempestivi e clinicamente e finanziariamente integrati, che contribuiranno a supportare le persone che vivono con una malattia rara nell’affrontare la loro salute fisica e mentale …” e vengono incoraggiati “ad affrontare le cause profonde di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle persone affette da una malattia rara, anche attraverso sensibilizzazione e diffusione di informazioni accurate…”.
La Risoluzione, inoltre, esorta gli Stati membri ad adottare apposite misure nazionali per garantire che le persone affette da una malattia rara “non siano lasciate indietro”, considerando che queste persone sono spesso “colpite in modo sproporzionato”anche “dalla povertà, dalla mancanza di lavoro e occupazione dignitosi”, e che necessitano di assistenza per “godere di pari accesso alle prestazioni e ai servizi … e per promuovere la loro partecipazione piena, equa e significativa alla società…”
L’Italia si è occupata di questa delicata tematica approvando la L.175/2021, nota come Testo Unico sulla Malattie Rare, la cui finalità si concretizza nel garantire l’erogazione uniforme in tutto il territorio nazionale delle prestazioni e dei medicinali, nel coordinare ed aggiornare periodicamente i livelli essenziali di assistenza, l’elenco delle malattie rare e nel riordinare la rete nazionale per la prevenzione, sorveglianza, diagnosi e terapia.
La legge conferisce un ruolo di rilievo all’attuazione dei piani diagnostici terapeutici personalizzati, ovvero il monitoraggio della persona dall’età infantile fino all’età adulta e l’individuazione di trattamenti idonei nell’ipotesi in cui venga diagnosticata una malattia rara. Elaborato il piano diagnostico, lo stesso dovrà essere condiviso con i servizi della rete nazionale a cui spetta il compito di attivarlo, dopo averlo condiviso con il paziente ed i suoi familiari, ovvero i principali protagonisti di questo iter. Ma attenzione: equità nell’accesso alle cure significa abbreviare i tempi di approvazione dei farmaci orfani – così definiti perché prodotti che potenzialmente sono utili per trattare una malattia rara, ma che non hanno un mercato sufficiente per ripagare le spese del suo sviluppo -, renderli disponibili nei prontuari regionali dopo l’approvazione dell’agenzia del farmaco, senza ulteriori ritardi: in primo luogo andranno introdotte le terapie innovative ed avanzate per le quali si sia dimostrata l’efficacia.
Una speranza concreta per il futuro è fornita dalla ricerca medica in ambito genetico, ricerca che ha avuto un forte impulso durante il periodo del Covid e che sta mettendo a punto svariate tecniche che consentano di intervenire sull’aspetto genetico della malattia. Si parla in tal senso di screening da effettuare sulla popolazione già al momento della nascita, indagini queste che potranno apparire decisive per intraprendere, in modo tempestivo, tutte le possibili cure appropriate al caso.
Bisogna porre in rilievo da ultimo che lo sviluppo dell’attività scientifica ha sì comportato un miglioramento dell’evoluzione di queste malattie, nel senso che sempre un numero maggiore di persone raggiungono l’età adulta, ma ciò richiede la disponibilità di professionisti di comprovata capacità del settore sanitario e non, che siano in grado di garantire una assistenza specializzata e altamente qualificata. Si tratta, come sempre quando si interviene sulla persona, di valorizzare al massimo il capitale umano, che unito all’elemento “chimico” del farmaco, può portare a risultati altamente apprezzabili.
Daniela Leban, esperta in bioetica giuridica e docente del Master