Il nostro approccio scolastico alla storia ci abitua a mettere i fatti, i popoli, le civiltà, in sequenza. Probabilmente è un male necessario ma ci fa perdere il senso di ciò che è simultaneo, ci fa vedere come lontanissimi fra loro, per natura, per ordine della sequenza appunto, eventi e processi che si sono svolti contemporaneamente. Forse è un limite mio ma questa cosa non cessa di sorprendermi. L’esempio di un caso che mi turba è la contemporaneità di Garibaldi e Marx: il primo così legato alle guerre di indipendenza ottocentesche, l’altro che percepiamo tutto proiettato nel novecento. Eppure, nel 1867, mentre Karl Marx dava alle stampe la prima edizione de Il Capitale, Giuseppe Garibaldi veniva sconfitto a Mentana dalle truppe francesi e pontificie in un velleitario tentativo di prendere Roma. I presidenti del consiglio del Regno d’Italia furono Ricasoli, poi Rattazzi, poi Menabrea. Nello stesso anno, il fatidico 10 agosto, veniva ucciso il padre di Giovanni Pascoli. E nello stesso anno Emily Dickinson scriveva la prima delle due poesie presentate qui. La seconda è ancora precedente: 1862.

Semplicemente sembrano arrivare da un altro pianeta, forse da un’altra galassia. Da un altro tempo che non smette mai di essere vivo (e operante).

1109

Mi preparo per loro – cerco il Buio
Finché sarò del tutto pronta.
Il lavoro è temperato
Da un’austera dolcezza –
Che l’astinenza di me produca
Un cibo più puro per loro, se riesco,
Sennò avrò avuto
Il trasporto del desiderio –

419

Ci abituiamo al Buio –
Quando la Luce è messa via –
Come quando la Vicina regge il Lume
Per testimoniare il suo Arrivederci –
Un Momento – facciamo un passo incerti
Per la novità della notte –
Poi – adattiamo la Vista al Buio –
E affrontiamo la Via – eretti –
E così è per più grandi – Oscurità –
Quelle Notti della Mente –
In cui nessuna Luna svela un segno –
O Stella – appare – dentro –
I più Coraggiosi – brancolano un po’ –
E talvolta picchiano contro un Albero
In piena Fronte –
Ma fa che imparino a vedere –
Che sia l’Oscurità a cambiare –
O qualcosa nella vista
Che si adatta alla Mezzanotte –
E la Vita s’incammina quasi diritta.

[Emily Dickinson, da Tutte le opere, trad. di Giuseppe Ierolli]                      

[nota: le traduzioni delle poesie di Emily Dickinson mi mettono sempre in difficoltà. Quale scegliere? Qui mi sono permesso di cambiare l’ultima parola della traduzione di Ierolli della 1109, sostituendola con quella della traduzione dei Meridiani di Margherita Guidacci, ma nei fatti stregato da una versione assai simile a quest’ultima, ma non identica, trovata ne Il canone occidentale di Harold Bloom. Nel sito da cui ho tratto i testi si trova anche la versione originale inglese, assolutamente affrontabile con l’aiuto della traduzione a fronte. Merita un tentativo: la succinta, quasi rude – e sempre un po’ ironica – limpidezza di Dickinson naturalmente riluce al meglio nella sua lingua.]

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