Mappa per il giorno dei morti

Questo è un luogo di parole e dunque la mappa per il giorno dei morti che provo a tracciare qui è una mappa di parole. La prima cosa che comunica questa mappa, il suo fondamento, la guida essenziale è una luce, un certo tipo di luce, una chiarezza gialla e limpida, una trasparenza dell’aria che è propria di questo momento dell’anno. La luce, così sottile, così sfuggente, nel corso di abbreviarsi allude a un varco, una crepa nell’antico legno della porta da cui balugina la luce del giardino nascosto.

[216; v. 1861]

Sicuri nelle loro camere di alabastro –
non toccati dalla mattina
né toccati dal mezzogiorno –
riposano gli umili membri della resurrezione –
trave di raso – e tetto di pietra!

Grandiosi vanno gli anni – nel crescente – in alto –
i mondi si scavano archi –
e i firmamenti – remano –
diademi – cadono – e Dogi – si arrendono –
silenziosi come punti – su un disco di neve –

[657]

Abito nella possibilità –
una casa più bella della prosa –
più ricca di finestre –
e superiore – per porte –

con stanze come cedri –
impenetrabili all’occhio –
e per tetto indistruttibile
gli spioventi del cielo –

per visitatori – i più belli –
per lavoro – questo:
divaricare le mie mani sottili
per raccogliere il paradiso –

E ancora, l’abbreviarsi della luce danza col salire del silenzio, gli corrisponde. Forse più esattamente il lento posarsi del rumore. Il silenzio è così raro e prezioso, è lo spazio invisibile che si fa immenso, si fa minuscolo, si fa tramite. Raduna dai due lati del mondo: loro diventano vicinissimi, quasi percettibili.
Questo è quanto. È moltissimo.

[298]

Sola, non posso essere –
Poiché schiere – mi visitano –
compagnia senza traccia –
che elude chiavi –

Non hanno vesti, né nomi –
non almanacchi – né climi –
ma case diffuse
come gnomi –

Il loro venire, è annunciato
da messaggeri interiori –
il loro andare – non lo è –
poiché non vanno mai –

Per fortuna veniamo negli ultimi giorni. Una schiera innumerabile di anime grandi ci hanno preceduto lasciandoci piste di sassolini, di briciole, segni sulla corteccia. Non c’è bisogno di inventarsi nulla. I fiumi, le montagne, le foreste sono tracciate da mani sicure. La mappa è piena di colori d’autunno, è piena di persone: la mappa è del tutto essenziale, non fa distinzioni fra vivi e morti, ha la stessa dolcezza per tutti.

[335]

Non è che il morire ci faccia tanto male –
è il vivere – che duole di più –
ma morire – è un modo diverso –
una specie dietro la porta –

l’abitudine del sud – dell’uccello –
che prima che venga il gelo –
accetta una latitudine migliore –
noi – siamo gli uccelli – che restano.

Tremiamo sulla soglia del fattore –
della cui briciola riluttante –
facciamo conto – finché nevi pietose
persuadono le nostre ali a casa.

La mappa è una guida per perdersi, per questo è un porto sicuro. Per trovare il tempo bisogna imparare a perdere tempo. Farsi largo nel vuoto. Il compito serissimo di notare le cose che non sono serie. Non c’è bisogno di tante spiegazioni, la via la vedete da soli.

[827]

Le sole notizie che ho
sono bollettini continui
dall’immortalità.

I soli spettacoli che vedo –
domani e oggi –
forse l’eternità –

la sola persona che incontro
è Dio – la sola via
l’esistenza – traversata la quale

se altre notizie ci sono –
o spettacoli più ammirevoli –
ve lo dirò –

“Le dico queste cose perché ne ho bisogno anch’io, più di lei forse in questo momento. Le parlai, un anno fa circa, di prove angosciose. Non sono finite, al contrario. E a volte – come in questo momento – io muoio letteralmente di paura, come il gattino sollevato improvvisamente su un altissima spalla. Che fare? Nulla. Chi mi solleva sa quel che fa. Lasciarlo dunque fare… È immensamente difficile ma è l’unica cosa che abbia un senso.”

[113]

Portare la nostra parte di notte –
la nostra parte di aurora –
riempire il nostro spazio di felicità
il nostro spazio di risentimento

Qui una stella, e là una stella,
alcuni si perdono!
Qui una nebbia, e là una nebbia,
infine – il giorno
!

(le poesie numerate sono tutte di Emily Dickinson, tratte da da Poesie, Grandi Classici – Oscar, Mondadori, traduzione di Massimo Bacigalupo; il brano in prosa virgolettato è il frammento di una lettera di Cristina Campo riportato in Belinda e il mostro, di Cristina De Stefano, Adelphi. Tutte le foto sono state scattate da me.)