Salutata dal Presidente della Regione Toscana E. Giani come un forte messaggio di civiltà e dal Presidente della Conferenza Episcopale toscana come una grande sconfitta per tutti, l’approvazione di tale legge precede l’iniziativa del Parlamento in una materia definita critica per esser eufemistici e si inserisce in un contesto caratterizzato da una crescente attenzione verso i diritti dei pazienti e la loro volontà di decidere autonomamente sulle cure mediche, soprattutto quando si trovano in condizioni irreversibili di salute.
La legge trae origine da una proposta di iniziativa popolare sostenuta dall’associazione Luca Coscioni che ha raccolto ampio sostegno (10.000 firme) da parte della cittadinanza. Da sottolineare come la stessa iniziativa non abbia ottenuto lo stesso successo in altre regioni: il Veneto non ha approvato la legge e in Lombardia si è addirittura evitato di discuterla in Consiglio Regionale.
In 6 articoli la legge definisce i ruoli, le procedure ed i tempi per il suicidio assistito. I requisiti per accedere alla pratica e che devono sussistere contemporaneamente si identificano nella:
- patologia irreversibile,
- presenza di sofferenze fisiche o psicologiche reputate dal paziente intollerabili,
- dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale,
- capacità del paziente di assumere decisioni libere e consapevoli.
Il paziente deve aver formulato il proprio desiderio di morire in modo libero, autonomo, chiaro ed univoco e deve aver rifiutato qualsiasi soluzione terapeutica praticabile, compresa la sedazione profonda, intesa come induzione dello stato di incoscienza fino al momento della morte.
La legge si basa su alcuni principi fondamentali quali il diritto all’autodeterminazione – secondo cui il paziente ha diritto di decidere in modo autonomo sulle proprie cure, compreso il diritto di rifiutarle o interromperle, in linea con quanto sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – e la dignità della persona – nel senso che la legge tutela la dignità del paziente in ogni fase della malattia, garantendo il rispetto della sua volontà e delle sue scelte. Inoltre, promuove lo sviluppo e l’erogazione di cure palliative, volte a migliorare la qualità della vita dei pazienti e a ridurre la sofferenza fisica e psicologica, come anche il diritto del paziente ad essere accompagnato nel momento della morte da personale sanitario qualificato e da persone di fiducia.
La procedura si avvia con richiesta all’azienda sanitaria locale (diretta o per delega) per la verifica della presenza dei requisiti fondamentali, accompagnata dalla documentazione sanitaria.
Presso l’azienda sanitaria locale dovrà essere istituita la commissione incaricata di verificare i requisiti, composta da un medico per le cure palliative, un neurologo, uno psichiatra, un anestesista, un infermiere, uno psicologo ed uno specialista nella patologia del malato.
Gli accertamenti della commissione verteranno sulla verifica dei requisiti, sulla possibilità di sospendere il procedimento per accertamenti clinici, sulla verifica che il paziente sia stato informato su tutte le alternative alla morte assistita, tra cui le cure palliative e il ricorso ad una sedazione profonda. Il tutto si conclude con una relazione che verrà comunicata all’azienda sanitaria ed al paziente.
La commissione ha pure il compito di definire le modalità di attuazione della morte assistita: farmaci e macchinari che aiutino il paziente ad autosomministrarsi il farmaco senza l’aiuto del medico. In ogni caso il paziente potrà sospendere in qualunque momento la procedura o annullare la richiesta.
La legge, pur rappresentando un notevole passo avanti nell’ambito dei soggetti deboli, non fornisce una definizione precisa di “malattia irreversibile”, lasciando in tal modo spazio a diverse interpretazioni, con conseguenti possibili contenziosi e non disciplina l’obiezione di coscienza da parte dei medici, lasciando parimenti aperta la questione della possibilità che alcuni professionisti sanitari si rifiutino di praticare il suicidio medicalmente assistito.
Tale normativa della Regione Toscana rappresenta però una tappa basilare nel percorso verso una maggior tutela dei diritti dei pazienti ed una gestione più umana e consapevole del fine vita, proponendosi di bilanciare il diritto all’autodeterminazione con la necessità di garantire cure palliative adeguate ed un accompagnamento professionale nel momento della morte.
Diverrà essenziale la necessità di garantire una adeguata formazione del personale sanitario, la realizzazione di protocolli clinici chiari unitamente ad un sistema di monitoraggio e valutazione dell’applicazione della legge,
È fondamentale sottolineare come la legge non risolva tutte le questioni etiche e psicologiche legate intimamente al fine vita. Diverrà necessario ancora instaurare un dibattito che coinvolga non solo gli uomini di legge, ma anche i professionisti sanitari e la società civile nel suo complesso.
Daniela Leban, esperta di bioetica giuridica