LABORATORI DI EDUCAZIONE ALLA MORTE
RIVOLTI ALLE SCUOLE DI OGNI ORDINE E GRADO
Progettualità Uno Sguardo al Cielo
novembre 2015 – gennaio 2016
La paura della morte ha portato l’uomo ad allontanarsi da essa in modo da evitare ogni fonte di angoscia e dolore. La consapevolezza della morte non è mai stata considerata innata nell’uomo nonostante sia manifestata sin dai primi giorni di vita attraverso un istinto di sopravvivenza, il quale porta ad avere dei comportamenti di attaccamento nei confronti del caregiver, provando sofferenza al momento della separazione, e comportamenti di evitamento in presenza di un estraneo.
Il concetto di morte cambia e si trasforma durante lo sviluppo; tra i 9 e i 12 anni, quando si raggiunge una struttura matura del pensiero, vengono comprese alcune caratteristiche essenziali connesse alla morte: cessazione delle funzioni vitali, irreversibilità e universalità.
Al fine di avvicinarsi al tema ed al significato della morte e alle riflessioni che ne derivano,nella seconda metà del secolo scorso nasce e si diffonde in maniera rapida ed efficace la Death Education (DeEd).
La DeEd è uno strumento che si è formato all’interno dei Death Studies (DeSt) i quali indagano e analizzano le espressioni di incontro con la morte e studiano i comportamenti che persone di diverse culture assumono di fronte ad essa e al dolore che provoca. L’idea di promuovere la Death Education come strumento utile ad integrare il concetto di morte nella vita delle persone, rendendo l’esistenza autentica e consapevole, è stata creata da Herman Feifel (“The Meaning of Death”, 1959), uno dei padri fondatori della tanatologia psicologica e dai suoi allievi Stephen Srack, Robert Neimeyer e Robert Kastenbaum.
Secondo questi studiosi, oltre l’ambito scolastico ed accademico, luoghi principali in cui applicare lo strumento di Death Education, è necessario attivare degli interventi ancora più ampi. Essi sostengono l’importanza di poter accompagnare e guidare le persone in un percorso di insegnamento e comprensione della morte durante tutto il ciclo della vita,a partire quindi dall’infanzia; intraprendere percorsi di DeEd in ambito sanitario per sostenere un paziente durante le fasi di una malattia terminale; aiutare le persone che perdono i propri cari ad elaborare il lutto al fine di prevenire dinamiche patologiche, quindi lutti complicati.
Due prestigiose autrici come Elisabeth Kubler-Ross (“On Death and Dying”, 1969) e Dame Cicely Saunders, la quale ha dato il via alla diffusione degli Hospice in Inghiterra alla fine degli anni Sessanta sostenendo l’importanza delle cure palliative nella medicina moderna, hanno condotto diversi studi ed hanno fatto in modo di porre maggiore attenzione agli aspetti della morte.
Dan Leviton, nella sua opera “The Scope of Death Education” (1997), definisce la DeEd come un processo attraverso cui vengono trasmesse le conoscenze circa la morte ed il morire e le relative implicazioni.
Anche studiosi come Corr, Morgan e Wass affermano l’importanza della Death Education all’interno di percorsi educativi a tutti i livelli ed a tutte le età.
Un’ educazione alla morte, strutturata in maniera adeguata nel contesto scolastico, permette di far fronte alle difficoltà emozionali relative ad una perdita e di attivare strategie di coping e resilienza davanti agli ostacoli che si presentano durante il percorso di crescita.
Robert Kastenbaum è stato il primo studioso ad aver relizzato, nel 1996, un progetto di Death Education in un corso universitario presso la Wayne University in collaborazione con il primo centro di ricerca sulla morte. In quegli anni sono state pubblicate anche le prime riviste che trattavano il tema della morte: “Omega. Journal of Death and Dying”, “Death Education” di Hannelore Wass e “Death Studies”.
Nacque anche l’associazione “Ars Moriendi (Forum for Death Education and Counseling), ora nominata “Association for Death Education and Counseling” (ADEC), la quale valuta i programmi internazionali di formazione di Death Education. Una organizzazione simile ad essa è l’International Work Group on Death, Dying and Bereavement (IWG), fondata nel 1974 e formata da un gruppo internazionale di medici, studiosi e ricercatori esperti sul tema della morte.
Nonostante in Europa siano meno diffusi e meno conosciuti gli studi sulla morte, sono stati fondati importanti centri di ricerca e studio, tra i quali: “Société de Thanatologie” (Francia), “Centre for Death and Life Studies” dell’Università di Durham e “Centre for Death and Society” dell’Università di Bath (Inghilterra), con i rispettivi periodici “Etudes sur le mort” e “Mortality“.
Anche in Italia sono stati fondati diversi centri di ricerca e studio: a Bologna, l’Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica con la rivista “Zeta“, diretti da Francesco Campione; a Torino è attiva la Fondazione Ariodante Fabretti con la sua pubblicazione “Studi Tanatologici“; a Lucca si trova l’Istituto Storico Lucchese che dal 1995 al 2005 ha pubblicato la rivista “L’Aldilà. Rivista di Storia della Tanatologia“; all’Università di Padova ha luogo il Master Death Studies & The End of Life, con lo scopo di promuovere iniziative sull’Educazione alla Morte.
Nei mesi di novembre 2015 – gennaio 2016 è stato realizzato, in alcune scuole di diverso grado del territorio ferrarese, un breve percorso di Educazione alla Morte, caratterizzato da tre laboratori differenti. Questa iniziativa è nata all’interno del progetto “Uno Sguardo al Cielo. Percorso di avvicinamento all’Elaborazione del Lutto”, organizzato e coordinato dall’Università degli Studi di Ferrara in collaborazione con AMSEF (Agenzia di Onoranze Funebri del Comune di Ferrara) e diretto dalla Prof.ssa Paola Bastianoni, con lo scopo di offrire aiuto a chi ha difficoltà nell’elaborare un lutto e di aprire un dialogo condiviso con la cittadinanza per riflettere sul tema della morte e i suoi vari aspetti.
PRIMO CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA
Nell’ambito del progetto universitario “Uno sguardo al cielo”, diverse sono state le modalità presentate per avvicinare le persone alle tematiche del lutto. Uno spazio particolare e sostanzioso di tutto il progetto è stato dedicato ai laboratori di educazione alla morte nelle scuole.
L’educazione alla morte è un percorso che può essere affrontato su più livelli, attraverso una serie di attività educative finalizzate ad affrontare, con metodologie didattiche appropriate, temi ed esperienze relative alla morte che richiedono il coinvolgimento della scuola.
E’ innanzitutto fondamentale, capire l’importanza di parlare con bambini e adolescenti di tali questioni perché favorisce l’abilità di gestire le emozioni, i vissuti e le difficoltà legati al fine vita e aiuta le capacità di elaborazione del pensiero e delle rappresentazioni della morte.
Nel progetto qui riportato, sono state adottate modalità di lavoro diverse scelte in base all’età dei bambini con cui si aveva a che fare. Ai bambini più piccoli, quindi, quelli di 6 e 7 anni che frequentano le classi prima e seconda elementare, sono state impiegate circa 5 ore di lavoro e sono state così strutturate: inizialmente ci si presentava a loro in maniera amichevole in modo che non si spaventassero per via degli argomenti che saremo andate a trattare, poi si chiedeva loro di prestare attenzione alla visione di un film d’animazione perché tutto il lavoro che sarebbero andati a fare aveva a che fare con i contenuti emersi del film. Per i bambini così piccoli è stato scelto il film “Up”, cartone animato americano del 2009 che ha per protagonista Carl, un anziano signore che alla morte della moglie (al quale era legatissimo) non riesce ad affrontare il lutto e vive di ricordi della defunta; un giorno alla sua porta bussa Russel, un giovane esploratore che ha bisogno dell’aiuto dell’anziano per riuscire a prendere la sua ultima medaglia. Inizialmente l’anziano si mostra titubante, ma poi deciderà di aiutarlo e i due, insieme ad altri personaggi, affronteranno una serie di avventure.
Al termine del film, si è discusso con i bambini su quali aspetti del film sono piaciuti di più e quali aspetti non sono piaciuti. La maggior parte di loro ha alzato la mano per dire che non è piaciuto il momento della morte della moglie di Carl perché come giustamente ci ha detto un bambino “la morte è una cosa brutta”. La parte che ha riscontrato una maggiore approvazione è stata quella legata alle avventure vissute dall’anziano, da Russel e dagli altri personaggi, in particolare quando Kevin (il beccaccino) è stato aiutato dai due protagonisti a ritrovare la sua famiglia.
Gli obiettivi principali erano:
- A partire dal proprio vissuto emotivo, dare voce e proiettare nell’ambiente le proprie sensazioni, i sentimenti e gli affetti connessi alle tematiche individuate nel film.
- Creare una scatola che funga da ambiente emotivo per il bambino.
Terminato il momento di riflessioni, ai bambini è stato chiesto di riportare su una scatola bianca, attraverso l’ausilio di colori, penne, tempere, pasta, fili di lana colorati, tutte le emozioni scaturite dalla visione del film. Si è notato che la maggior parte ha riportato graficamente le cose che sono piaciute di più, e le cose che sono piaciute di meno (espresse con colori fortemente scuri). Successivamente, ciascun bambino ha condiviso con la classe le proprie scelte. Sicuramente, è stato un laboratorio di educazione alla morte molto utile, perché un argomento delicato come la morte si cerca spesso di evitarlo perché appunto viene considerato “lontano”, attraverso questo progetto, che ha riscosso un grande successo da parte dei bambini e delle insegnanti referenti di classe si è riusciti a sensibilizzare e a far riflettere su tali tematiche che vengono volutamente evitate. Al progetto, che aveva per oggetto il film “Up” hanno partecipato la classe 1° e 2° della scuola primaria di Gaibanella, con un totale di circa 40 bambini.
Il laboratorio è stato svolto a dicembre 2015, e nel mese di gennaio 2016 sono state coinvolte anche i genitori in un incontro di restituzione del lavoro svolto, con l’obiettivo di condividere anche con i genitori questo importante obiettivo educativo.
SECONDO CICLO DELLA SCUOLA PRIMARIA
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO: CLASSI PRIMA e SECONDA
Le occasioni che possono stimolare la curiosità dei bambini sulla tematica della morte sono numerose e provengono in larga parte dai mezzi di comunicazione: pensiamo alla televisione con le cronache giornaliere di guerre, incidenti, violenze, dove si fa il bilancio dei morti. Non è possibile sottrarre i bambini a queste informazioni, anche se si sta attenti nel fare una selezione. Quindi il bambino “sa” che esiste la morte, ed è naturale che ne sia incuriosito e voglia saperne di più. Un dialogo confidenziale tra genitori e figli non può improvvisarsi, va costruito fin dalla nascita. Dove c’è un buon contatto e una relazione di fiducia, si crea un clima di libertà che consente al bambino di porre agli adulti tutte le domande a cui sente di dover dare una risposta. Il bambino è estremamente curioso e incuriosito dal mondo circostante, ed eventi per noi abituali e frequenti, per un piccolo che li osserva per la prima volta, diventano motivo di sorpresa e curiosità. Ne consegue un naturale bisogno di sapere e capire di più. Se si perde una persona cara, anche il bambino, come l’adulto, prova smarrimento davanti alla morte. La morte rappresenta un evento molto difficile sia da comprendere che da accettare. Se le figure familiari non hanno integrato in prima persona il concetto di cosa sia la morte e se non hanno precedentemente fornito al bambino gli strumenti e le conoscenze relative al fenomeno morte, in un clima di naturalezza e tranquillità, davanti ad una emergenza la situazione si presenta più difficile e complessa da gestire.
Ci sono delle situazioni gravi in cui i bambini hanno una paura insuperabile della morte e provano un rifiuto verso la vita, specie se hanno assistito alla morte violenta di una persona amata e gli adulti che restano non sono in grado di sostituire adeguatamente chi non c’è più, oppure se vive in situazioni di vita difficili. In questi casi non è possibile distrarre dalla morte e subentra una seconda alternativa educativa: non si cerca più di distrarre il bambino dai sentimenti di morte, ma si educano questi sentimenti in modo che la mente possa “contenerli” e la vita sia di nuovo vivibile, nonostante si provi paura, angoscia o desiderio di morte. Si educano i bambini a non allontanare il pensiero della morte e i sentimenti che lo accompagnano. La morte appare sempre come annullamento, ma per cui sussiste un qualche “rimedio”. Educare alla morte consisterà allora non in modi per non pensarci, ma nell’individuare dei rimedi che consentano di fare convivere il pensiero della morte e i sentimenti che lo accompagnano.
Nell’ambito del progetto “Uno Sguardo Al Cielo” nello specifico, per i bambini di un’età compresa tra i 9 e gli 11 anni è stato proposto “Big Hero 6”, film di animazione che narrava la storia di due fratelli, Hiro e Tadashi, orfani, geni della robotica con un costante rapporto di amore e odio. Una sera, Tadashi muore a causa di un esplosione. Inizialmente Hiro si rifiuterà di affrontare il lutto e si chiuderà in sé stesso, poi dopo una serie di avventure e grazie al supporto di amici e di Baymax, un robot sanitario creato da Tadashi prima di morire, riuscirà a reagire e a far rivivere Tadashi dentro di se.
Gli obiettivi principali dei laboratori erano due:
- A partire dal proprio vissuto emotivo, condividere emozioni e sensazioni con il gruppo e soprattutto nel gruppo.
- A seguito della proiezione del film, lavorare e confrontarsi in gruppo su una conclusione alternativa della storia.
Dopo la visione del film, alla classe veniva chiesto di esprimere il proprio parere in merito al film e successivamente venivano creati piccoli gruppi di 4, 5 persone in cui partendo da una introduzione comune che arrivava fino al momento dell’incendio si chiedeva agli studenti di inventare un possibile finale alternativo e accettabile. Si è osservato che la maggior parte dei gruppi tendeva a non far morire Tadashi, e a dare un finale positivo alla storia, quindi negavano il momento della morte. Una storia che è stata particolarmente interessante è stata quella scritta dal gruppo di una bambina di 4° elementare che non ha smentito il lutto, anzi, hanno elaborato il lutto e la conclusione è stata che “si può vivere conservando un buon ricordo”.
Infine, le storie venivano presentate al resto della classe e insieme a foto scattate nel corso delle ore passate insieme, sono state montate per costruire un video che andasse a riassumere quello che è stato il lavoro svolto.
Ai laboratori avente per oggetto il lavoro su “Big Hiro 6” hanno partecipato la quarta e la quinta dell’istituto comprensivo Manzi, nello specifico scuola primaria di Gaibanella (Fe), la 1a D dell’istituto comprensivo Filippo De Pisis con sede in Krasnodar e la 1a L con sede distaccata a Porotto. E’ stato raggiunto un numero complessivo di circa 80 bambini. Per quanto riguarda la scuola di Gaibanella nello specifico, essendo stato un progetto che ha interessato tutte le classi (a parte la terza elementare) oltre all’incontro di restituzione del video con la classe è stato svolto anche un incontro con i genitori per renderli partecipi e metterli al corrente del lavoro svolto.
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO: TERZA MEDIA
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
La morte è un elemento costitutivo dell’esistenza nostra ed altrui. Perdere una persona comporta un cambiamento subito ma non voluto, che ci impone una trasformazione. Il problema non è facilitare la distrazione dai pensieri oscuri e dalle paure, ma accompagnare in altri territori dove si ha la percezione chiara che, nonostante il dolore per la perdita subita, la vita andrà avanti e in un modo o nell’altro dovrà proseguire. Il silenzio è un peso troppo gravoso sulle spalle di un bambino e di un adolescente. Questi soggetti, hanno bisogno di fare domande, esprimere il proprio dolore o scaricare la rabbia. La scuola può fare molto e offrire un luogo protetto dove tutti infanti e ragazzi possano comprendere il ciclo della vita.
Educare alla morte richiede alla scuola di organizzare spazi di riflessione e accompagnamento, specie verso chi è vittima di un evento così grave come è la morte di una persona amata. L’atteggiamento diffuso tra gli adulti è quello di contenere le domande e di evitare la verità: si crede che essendo già scosso dagli eventi subiti, il ragazzo non possa sopportare altri stress. Questo atteggiamento in realtà è deleterio: il silenzio non anestetizza il dolore, che continua a conservare tinte forti nell’animo, e non mette a tacere le domande, che prima o poi nel corso della vita riaffiorano.
In ambito educativo, è importante progettare spazi e attività che accompagnino a familiarizzare con il concetto di morte e che preparino ad una elaborazione personale e condivisa del dolore e delle emozioni. L’educatore deve creare il terreno dell’incontro. La sua sensibilità e preparazione emotiva lo guidano nel trovare le proposte che permettano a bambini ed adolescenti di soffermarsi sulle tematiche dolorose senza generare stati d’animo di difficile contenimento. Ed è proprio questo, ciò che si pone come obiettivo principale il progetto laboratoriale nelle scuole di “Uno Sguardo Al Cielo”, creare uno spazio di riflessione per trattare insieme e con delicatezza argomenti che spesso vengono volutamente evitati.
Nello specifico, per gli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni è stato scelto per aiutare a riflettere il film americano del 2006 “We Are Marshall”, ad Huntington, un piccolo paesino del West Virginia, è molto radicata la passione per il football. La squadra del college locale è sempre stata una delle più forti e da decenni i familiari dei giocatori e gli abitanti del luogo sono uniti da un tifo scatenato. I Marshall non sono soltanto una squadra di football, ma uno stile di vita. Ma una notte del 1970, mentre gli atleti, l’allenatore e lo staff tecnico tornano dal North Carolina dove hanno disputato una partita importante, l’aereo su cui si trovano precipita. Nessuno di loro si salva. Parenti, amici, conoscenti e tifosi si stringono in un dolore comune. L’arrivo di Jack Langyel, il nuovo allenatore, che tenta di ricostruire la squadra, scuote i cittadini e li spinge a aiutarlo a ritrovare lo spirito di squadra. Ed è proprio da questa voglia di “ricominciare” che parte il giusto spunto per riflettere.
Gli obiettivi principali del laboratorio:
- Condividere e dialogare con i ragazzi su tematiche spesso dimenticate, evitate, volutamente non trattate.
- Riflettere nel gruppo e condividere emozioni, sensazioni e vissuti connessi alle tematiche individuate.
- Mettere in gioco parti di sé e/o poter venire a conoscenza di eventi dimenticati, dolorosi che hanno colpito l’allievo, la classe o un gruppo ristretto di amici.
Terminata la visione del film, si chiedeva agli alunni di appuntare su due bigliettini rosa le emozioni provate durante il film e su due bigliettini gialli quelle che per loro rappresentavano le tematiche emerse. In base alla discussione, si andava a delineare una mappa tematica e una mappa emotiva della classe, e in base a questo, la classe veniva divisa in piccoli gruppi e si chiedeva a ciascun insieme di persone di produrre articoli ispirandosi ai temi emersi durante la discussione in classe.
L’obiettivo era la produzione di una vera e propria pagina di giornale contenente gli articoli di ciascun insieme di lavoro.
Le emozioni che hanno maggiormente colpito i ragazzi erano incentrate sulla tristezza e sull’angoscia per la morte dell’intera squadra, per poi passare alla felicità e alla serenità dal momento in cui si forma la nuova squadra e la vita di tutta la piccola comunità di Huntington ricomincia. Le tematiche che sono uscite di più nel corso del dibattito riguardavano l’importanza dell’amicizia e del ricordo. Le classi che hanno partecipato nello specifico sono state la terza M dell’istituto Filippo De Pisis della sede distaccata di Porotto, la classe terza B dello stesso istituto con sede a Ferrara, Krasnodar e infine la classe terza T dell’Istituto Superiore Luigi Einaudi (Fe). I ragazzi che hanno partecipato attivamente al progetto sono stati circa 45.
Durante tutto il lavoro sono state scattate fotografie e girati piccoli video al fine di costruire un prodotto conclusivo del lavoro svolto in modo da lasciare un “qualcosa” alla scuola che ha partecipato. I laboratori in tali classi sono stati tutti svolti a novembre 2015 e la restituzione e la visione dei prodotti è avvenuta tra Gennaio e Febbraio 2016.
I ragazzi che hanno deciso di farsi intervistare hanno risposto in maniera molto positiva alla domanda se il laboratorio fosse stato utile, e all’unanimità hanno sostenuto l’importanza di parlare di tale tematiche.
Per maggiori informazioni, si rimanda ai seguenti link che documentano sinteticamente i laboratori effettuati:
- III media San Bartolomeo in Bosco (Fe) istituto comprensivo A. Manzi
- III superiore Istituto Einaudi
- I e III media Porotto (Fe) sede distaccata dell’istituto F. De Pisis
https://www.youtube.com/watch?v=NrKBZMEmJY0
- I e III media istituto De Pisis (Fe)
- I, II, IV, V scuola primaria Gaibanella (Fe) istituto comprensivo A. Manzi