Regia: Ingmar Bergman

Genere: Epico, Drammatico

Interpreti: Max von Sydow, Birgitta Valberg, Gunnel Lindblom, Birgitta Pettersson

Origine: Svezia

Anno: 1960

Trama: Nel medioevo, in un piccolo villaggio, Karin viene barbaramente violentata ed uccisa da tre pastori. I tre balordi dopo il misfatto cercano rifugio nella fattoria di Töre, il padre della fanciulla, ignari della paternità dell’uomo. Quando uno di loro cerca di vendere all’uomo il vestito della fanciulla, Töre intuisce la loro vera natura e li uccide senza pietà. La vendetta per la figlia è fatta ma al padre non dona serenità così, per espiare il suo peccato, decide di far edificare una chiesa sul luogo in cui è stata uccisa Karin, lo stesso luogo da cui, una volta sollevato il corpo della ragazza, zampillerà una sorgente d’acqua.

Recensione: La fontana della vergine , opera in costume di grande potenza figurativa, ebbe un’ottima accoglienza, conquistando anche l’Oscar nel 1960. In una Svezia primitiva e boscosa, ancora in transizione dal culto pagano al cristianesimo, Karin, giovane figlia di Tore, un ricco possidente, e di sua moglie Mareta, deve attraversare il bosco a cavallo per portare dei ceri in chiesa. La accompagna Inger, ragazza abbrutita dal rancore, impura perché il bambino che porta in grembo è il frutto di una violenza subita tempo prima. Intimorita dall’infittirsi degli alberi, Inger preferisce sostare nella casupola di un vecchio mentre l’ingenua Karin, vestita degli abiti più belli, prosegue. Lungo il tragitto incontra tre pastori coi quali decide di dividere il suo pasto. A un tratto, gli sconosciuti le si avventano contro, la stuprano e la finiscono con una randellata, ne rubano le vesti preziose e abbandonano il corpo esile nella radura. Intanto, presso il palazzo, i genitori di Karin sono allarmati. Durante la notte, gli assassini raggiungono la casa di Tore e vengono ospitati con generosità. Quando offrono in vendita alla moglie del signore una tunica insanguinata, la donna realizza di trovarsi al cospetto degli uccisori della figlia e informa il marito che all’alba compie la sua tremenda vendetta. Poi, sotto la guida di Inger, tornata in salvo al palazzo, i coniugi ritrovano nella selva il cadavere di Karin. Dalla terra, nel punto esatto su cui era appoggiato il capo della vergine, affiora un ruscello d’acqua limpida.
Per la prima e ultima volta Bergman mostra un intervento divino tangibile: il miracolo finale risolve il percorso di conversione di Tore e mette fine ai suoi dilemmi spirituali. La vicenda (divisa già nella forma tra la parabola biblica e la fiaba nordica) racchiude chiaramente uno scontro non soltanto religioso, ma soprattutto storico e morale tra due modelli dicotomici, in virtù dei quali è possibile distinguere i personaggi e interpretare le loro azioni. In questo modo, il livore di Inger è frutto del suo paganesimo, la bontà di Mareta è spiccatamente cristiana, così come l’ingenua serenità di Karin. Sfugge a questa rigida compartizione, perché ancora combattuto sul sistema valoriale a cui far riferimento, proprio colui che, in apparenza, è il personaggio “forte”: Tore, pagano nella vendetta e cristiano nell’implorare il perdono, diventa così l’elemento “dinamico”, il perno mobile che fa avanzare la storia, fino alla scelta conclusiva del nuovo culto. L’itinerario dei personaggi è perciò lineare e il suo didascalismo è rafforzato dal fascino delle ambientazioni, la cui resa accurata e realistica va di pari passo a una straordinaria eloquenza simbolica (basti pensare allo sciaguattio dell’acqua che non smette di fluire e “purificare” i rigogliosi paesaggi naturali), fungendo da cornice astratta ed evocativa, in dialogo con le figure del racconto. Eppure, al contrario degli sviluppi narrativi, il cammino dell’autore è ben più complesso. Se infatti si amplia il discorso all’universo bergmaniano, la manifestazione di Dio sembra produrre un completo ripensamento del suo ruolo e della sua presenza nel mondo degli uomini: il miracolo, prova per eccellenza della fede, appare a Bergman un motivo in più per dubitare.