XVI Edizione dal 17 aprile al 12 giugno 2016.
L’ Unione Donne Italiane, dopo la forzata sospensione a causa del sisma del 2014 che ha colpito Ferrara, con il sostegno del Comune di Ferrara e della Regione Emilia-Romagna, è tornata ad organizzare la Mostra di Arte Contemporanea di opere frutto della creatività femminile internazionale.
Questa 16ª edizione è stata curata da Lola G. Bonora e da Silvia Cirelli ed è stata dedicata a quattro artiste dell’America latina: la cubana Anna Mandieta (1948 – 1985), l’italo-brasiliana Anna Maria Maiolino (1942), la messicana Teresa Margolles (1963) e l’argentina Amalia Pica (1978).
L’esposizione si è tenuta presso il Padiglione d’Arte Contemporanea dal 17 aprile al 12 giugno 2016 con grande interesse e partecipazione emotiva.
Il titolo dell’Edizione 2016, Silencio vivo, è già tutto un programma per il fatto che tutte le artiste sono latino-americane ed hanno espresso temi e riflessioni di intensa e sofferta attualità quali il disagio sociale ed umano dovuto alle pesanti restrizioni delle dittature militari sia sul piano politico che economico, relazionale, espressivo e identitario. Attraverso le opere di queste coraggiose artiste donne il silenzio imposto dal dittatore di turno è diventato un urlo possente, chiaro, di condanna, di lotta e di speranza. Ciascuna a suo modo ha rappresentato la propria generazione e le proprie vicissitudini temporali (1942 – 1978) e geografiche. Con tecniche diverse, ma tutte riconducibili all’arte minimalista, in modo inequivocabile, essenziale ed immediato, ha raccontato la propria esperienza di vita, le limitazioni e i soprusi subiti, le difficoltà che la mancanza di libertà e democrazia dei propri paesi di provenienza hanno loro imposto con modi e forme diverse compresa l’emigrazione.
La più anziana di esse, Anna Maria Maiolino è calabrese di nascita. A solo sei anni, con il padre italiano e la madre ecuadoriana è emigrata in Venezuela da dove quattro anni più tardi (1960) si è trasferita a Rio de Janeiro, in Brasile, dove ha studiato pittura e xilografia che ha, poi, perfezionato a New York, negli Stati Uniti, dove è rimasta fino al 1971. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione hanno influenzato profondamente la sua arte, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile. La Maiolino è un’artista poliedrica e la sua arte spazia dalla pittura alla fotografia, all’incisione, alla scultura e alla ceramica. Ana Mandieta nacque, invece, all’Avana, Cuba, nel 1948. Di famiglia anticastrista, ancora adolescente, a dodici anni, fu costretta a rifugiarsi insieme alla sorella negli Stati Uniti dove, all’Università di Lowa, giovanissima, si specializzò in Arte diventando un’artista sui generis, dai tratti anticonformisti e per certi versi sconvolgenti. I suoi motivi preferiti furono corpi nudi e siluette di donne, sangue, fuoco, morte che aveva interiorizzato dagli episodi della sua travagliata esistenza e mediati dalla cultura popolare cubana fatta di riti e credenze arcaiche. La sua ascesa di artista si fermò a solo trentasette anni la notte dell’otto settembre del 1985 precipitando tragicamente dal 34º piano della sua abitazione di New York nel Greenwich Village. La sua morte è ancora oggi un mistero. Fu incidente, suicidio o omicidio? E a causarla fu suo marito, il celeberrimo scultore minimalista Carl Andre? La cinquantatreenne messicana Teresa Margolles è al colmo della sua maturità di artista. Le sue opere sono la testimonianza di un Messico complesso e martoriato da lotte di potere e che attraversa una grave e diffusa povertà accresciuta da profonde disuguaglianze economiche e sociali e da una criminalità organizzata che vende morte e si annida in ogni angolo del Paese anche il più remoto e nascosto. I suoi lavori, di grande impatto emotivo, coinvolgono lo sguardo e la mente del visitatore e interagiscono con i suoi sentimenti più intimi. Essi rispecchiano l’endemico disagio della sua gente ed esprimono tutta l’angoscia, tutta la violenza, il dolore e la morte con cui, direttamente o indirettamente, essa è costretta a vivere. Amelia Pica, la più giovane (1978) delle quattro artiste a cui è dedicata la Biennale Donna, è nata a Neuquén in Patagonia (Argentina) Sin da bambina ha respirato cultura e anticonformismo. Sua nonna era una nota attrice e regista di teatro da cui ha ereditato l’amore per l’arte e la lettura. Ha ricevuto i suoi primi insegnamenti di disegno e pittura nel suo villaggio da un maestro che viveva poco lontano da casa sua per poi recarsi a studiare a Buenos Aires presso la Scuola Nazionale di Belle Arti Pueyrredon Prilidiano, una scuola molto accademica. Qui ha maturato l’idea che il ritratto di modelli vivi non era l’unica opzione e che l’arte poteva essere qualcos’altro e che, se è un linguaggio visivo, non può che essere comunicazione di contesti, atto pedagogico quindi, educativo, politico. Ella ha vissuto i momenti cruciali della dittatura del suo paese e ha imparato a conoscere, impotente, atti di crudeltà e ingiustizia. Ma non è la storia in sé ad interessarla quanto i piccoli atti, gli episodi particolari, le storie, le situazioni che, comunicati attraverso l’arte, diventano vera e propria presa di coscienza. Dopo Buenos Aires si è recata ad Amsterdam in Olanda e successivamente è andata a vivere a Londra dove ha avuto modo di ampliare i suoi orizzonti artistici e farsi conoscere da un pubblico più ampio. Ha esposto i suoi lavori in tutto ilo mondo e soprattutto in Europa, Amsterdam, Londra, Vienna, Venezia, Ferrara. Essi hanno un piglio ironico, essenziale, immediato e sono legati a spazi e immagini della vita comune e quotidiana di ciascuno di noi.
L’ Unione Donne Italiane, dopo la forzata sospensione a causa del sisma del 2014 che ha colpito Ferrara, con il sostegno del Comune di Ferrara e della Regione Emilia-Romagna, è tornata ad organizzare la Mostra di Arte Contemporanea di opere frutto della creatività femminile internazionale.
Questa 16ª edizione è stata curata da Lola G. Bonora e da Silvia Cirelli ed è stata dedicata a quattro artiste dell’America latina: la cubana Anna Mandieta (1948 – 1985), l’italo-brasiliana Anna Maria Maiolino (1942), la messicana Teresa Margolles (1963) e l’argentina Amalia Pica (1978)
L’esposizione si è tenuta presso il Padiglione d’Arte Contemporanea dal 17 aprile al 12 giugno 2016 con grande interesse e partecipazione emotiva.
Il titolo dell’Edizione 2016, Silencio vivo, è già tutto un programma per il fatto che tutte le artiste sono latino-americane ed hanno espresso temi e riflessioni di intensa e sofferta attualità quali il disagio sociale ed umano dovuto alle pesanti restrizioni delle dittature militari sia sul piano politico che economico, relazionale, espressivo e identitario. Attraverso le opere di queste coraggiose artiste donne il silenzio imposto dal dittatore di turno è diventato un urlo possente, chiaro, di condanna, di lotta e di speranza. Ciascuna a suo modo ha rappresentato la propria generazione e le proprie vicissitudini temporali (1942 – 1978) e geografiche. Con tecniche diverse, ma tutte riconducibili all’arte minimalista, in modo inequivocabile, essenziale ed immediato, ha raccontato la propria esperienza di vita, le limitazioni e i soprusi subiti, le difficoltà che la mancanza di libertà e democrazia dei propri paesi di provenienza hanno loro imposto con modi e forme diverse compresa l’emigrazione.
La più anziana di esse, Anna Maria Maiolino è calabrese di nascita. A solo sei anni, con il padre italiano e la madre ecuadoriana è emigrata in Venezuela da dove quattro anni più tardi (1960) si è trasferita a Rio de Janeiro, in Brasile, dove ha studiato pittura e xilografia che ha, poi, perfezionato a New York, negli Stati Uniti, dove è rimasta fino al 1971. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione hanno influenzato profondamente la sua arte, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile. La Maiolino è un’artista poliedrica e la sua arte spazia dalla pittura alla fotografia, all’incisione, alla scultura e alla ceramica. Ana Mandieta nacque, invece, all’Avana, Cuba, nel 1948. Di famiglia anticastrista, ancora adolescente, a dodici anni, fu costretta a rifugiarsi insieme alla sorella negli Stati Uniti dove, all’Università di Lowa, giovanissima, si specializzò in Arte diventando un’artista sui generis, dai tratti anticonformisti e per certi versi sconvolgenti. I suoi motivi preferiti furono corpi nudi e siluette di donne, sangue, fuoco, morte che aveva interiorizzato dagli episodi della sua travagliata esistenza e mediati dalla cultura popolare cubana fatta di riti e credenze arcaiche. La sua ascesa di artista si fermò a solo trentasette anni la notte dell’otto settembre del 1985 precipitando tragicamente dal 34º piano della sua abitazione di New York nel Greenwich Village. La sua morte è ancora oggi un mistero. Fu incidente, suicidio o omicidio? E a causarla fu suo marito, il celeberrimo scultore minimalista Carl Andre? La cinquantatreenne messicana Teresa Margolles è al colmo della sua maturità di artista. Le sue opere sono la testimonianza di un Messico complesso e martoriato da lotte di potere e che attraversa una grave e diffusa povertà accresciuta da profonde disuguaglianze economiche e sociali e da una criminalità organizzata che vende morte e si annida in ogni angolo del Paese anche il più remoto e nascosto. I suoi lavori, di grande impatto emotivo, coinvolgono lo sguardo e la mente del visitatore e interagiscono con i suoi sentimenti più intimi. Essi rispecchiano l’endemico disagio della sua gente ed esprimono tutta l’angoscia, tutta la violenza, il dolore e la morte con cui, direttamente o indirettamente, essa è costretta a vivere. Amelia Pica, la più giovane (1978) delle quattro artiste a cui è dedicata la Biennale Donna, è nata a Neuquén in Patagonia (Argentina) Sin da bambina ha respirato cultura e anticonformismo. Sua nonna era una nota attrice e regista di teatro da cui ha ereditato l’amore per l’arte e la lettura. Ha ricevuto i suoi primi insegnamenti di disegno e pittura nel suo villaggio da un maestro che viveva poco lontano da casa sua per poi recarsi a studiare a Buenos Aires presso la Scuola Nazionale di Belle Arti Pueyrredon Prilidiano, una scuola molto accademica. Qui ha maturato l’idea che il ritratto di modelli vivi non era l’unica opzione e che l’arte poteva essere qualcos’altro e che, se è un linguaggio visivo, non può che essere comunicazione di contesti, atto pedagogico quindi, educativo, politico. Ella ha vissuto i momenti cruciali della dittatura del suo paese e ha imparato a conoscere, impotente, atti di crudeltà e ingiustizia. Ma non è la storia in sé ad interessarla quanto i piccoli atti, gli episodi particolari, le storie, le situazioni che, comunicati attraverso l’arte, diventano vera e propria presa di coscienza. Dopo Buenos Aires si è recata ad Amsterdam in Olanda e successivamente è andata a vivere a Londra dove ha avuto modo di ampliare i suoi orizzonti artistici e farsi conoscere da un pubblico più ampio. Ha esposto i suoi lavori in tutto ilo mondo e soprattutto in Europa, Amsterdam, Londra, Vienna, Venezia, Ferrara. Essi hanno un piglio ironico, essenziale, immediato e sono legati a spazi e immagini della vita comune e quotidiana di ciascuno di noi.