Numero monotematico in ” Bambini”, Aprile 2017

Si è tenuto ieri, presso la libreria ibs+Libraccio, il primo appuntamento del Progetto Culturale:

Uno Sguardo al Cielo

Percorsi di avvicinamento all’ elaborazione del lutto

Come si può spiegare la morte ai bambini? Chi può permettersi di farlo: genitori o insegnanti? Perchè mai dovremmo farlo? Qual è l’età giusta? Quando saranno in grado di capire? Questi e molti altri interrogativi affollano la mente dell’ adulto che condivide relazioni significative con i bambini. Il tema della morte ci spaventa e disorienta; come spiegare ad altri ciò che a volte non riusciamo a comprendere o ad accettare nemmeno noi? Morte e infanzia quale associazione potrebbe essere più terribile e impensabile?

Queste sono solo alcune delle domande alle quali hanno risposto gli autori.

Affrontare il tema della morte con i bambini, spiega l’ autrice Schenetti, significa al tempo stesso affrontare il tema della vita, dei legami, delle relazioni significative che si intrecciano in ogni esistenza e le loro evoluzioni. Oggi più che mai ci troviamo a dover fare i conti con un altro tipo di morte, che pare diffondersi senza avvertimenti, quella a cui rischiamo addirittura di abituarci, una morte che potremmo definire di-sumana e per questo ancora meno comprensibile e accettabile. Mentre scrivevo alcune righe, di questo mio intervento, mi trovavo a Stoccolma, due giorni dopo l’ ennesimo atto di terrore. Intorno a me avevo persone profondamente colpite ma, nello stesso tempo, animate da una consapevolezza, la continuità tra le generazioni si costruisce nel sentimento di appartenenza a una stessa storia, ad una stessa comunità, ad una rete di relazioni che abbraccia, sostiene, consola. La morte, quella naturale e quella innaturale, fa parte della vita dei nostri bambini, caratterizza le loro prime esperienze, perchè precluderla nella nostra relazione con loro? Per dare spazio alla prima dobbiamo accettarla nei nostri pensieri senza paura di differenziarla e prendere posizioni e distanze dalla seconda, che ci spaventa e atterrisce, ma non è meno reale e quotidiana.

Il Dott. Failo interviene spiegando come il processo del lutto avviene nell’ infanzia. Bambini e adulti, si misurano con la morte avendo come riferimento le proprie esperienze di separazione e spesso noi adulti corriamo il rischio di associare il nostro modo di pensare a quello del bambino, ontologicamente differente. Ciò che è simile invece, sono le emozioni intense e sconvolgenti che si provano. La prospettiva alla quale i genitori potrebbero avvicinarsi è come aiutare i bambini a soffrire e a darsi lo spazio e il tempo per farlo assieme e gli insegnanti a come porsi in ascolto nella relazione, inteso come sforzo attivo per entrare nel processo dell’ altro. Durante l’ infanzia e parte della fanciullezza, il bambino entra ed esce dal lutto essendo privo della struttura cognitiva ed emotiva matura che lo renda in grado di sostenere per un lungo periodo il dolore. E’ importante, quindi, conoscere sommariamente i modelli di pensiero comuni ai bambini per ogni particolare stadio dello sviluppo. Prima dei 2 anni la morte è vissuta da bambino come fosse sonno e quindi associata a uno stato reversibile, un’ assenza temporanea della persona morta. Percepiscono, però, la tensione presente in famiglia e possono esprimere il oro malessere con difficoltà del sonno, dell’ alimentazione, giochi ripetitivi. E’ molto importante che i loro ritmi di vita e riti non vengano alterati. Verso i 2-4 anni il bambino si serve del gioco simbolico per accertarsi del suo potere magico anche nei confronti della morte, facendo uscire l’ altro o se stesso dall’ immobilità con un semplice gesto o una semplice frase. Interpreta con questa modalità le regole dello spazio del tempo, non vivendo quindi le angosce della separazione definitiva. Solo gradualmente inizia a percepire che se stesso e l’ altro sono un’ entità distinta, separata dai genitori e che anche senza di loro può continuare a esistere. E’ solo a circa 5-6 anni che il bambino prende coscienza che quando si muore non si può tornare indietro. Ha un’ idea più strutturata di che cosa causi la morte: la vecchiaia, la malattia e pertanto inizia a fare le prime vere domande e a provare angosce. Arrivando ai 7-8 anni  la morte comincia ad essere associata non solo alla perdita delle funzioni vitali ma anche all’ universalità: anche io bambino posso morire. La prima agenzia educativa, assieme alla famiglia, è senza dubbio la scuola. Gli insegnanti e i genitori, se agiscono sinergicamente, possono garantire al bambino la validazione e la normalizzazione delle emozioni, all’ interno di un contesto protettivo, utile per favorire l’ individuale processo di elaborazione del lutto.

La Prof.ssa Bastianoni spiega come sia possibile educare alla morte nell’ esperienza del vivere. I bambini conoscono la morte, non ne ignorano la presenza, né il significato. Anzi già precocemente sviluppano la percezione di questo evento: bambini molto piccoli non saranno in grado di concepire a livello cognitivo la morte, ma, in caso di separazione, lunga o definitiva, dal caregiver, avvertiranno la perdita di un legame affettivo caratterizzato da odori, voci e modalità di cura esperite attraverso il corpo e percepite come continuità delle sensazioni e dei vissuti di sé. Che se ne parli direttamente o meno, i piccoli crescendo si formano un certo concetto di morte: i bambini sono circondati dalla morte in ogni momento. Fin dalla più tenera età capita di scontrarsi con l’ attimo inevitabile in cui la vita cessa di essere tale. Ecco allora che il gioco, rito d’ iniziazione alla vita reale, strumento conoscitivo, diventa luogo privilegiato di incontro e di confronto con la trasformazione, il cambiamento, il morire e il divenire. Attraverso il gioco si attiva un processo di elaborazione del proprio concetto di perdita, separazione e infine di morte sperimentando le sensazioni fisiche e le forti risonanze emotive a esse connesse, che pervadono un corpo finito. Nel gioco la morte acquista senso e significato come componente essenziale dell’ esistenza; senza offrire risposte definitive o esaurienti sulla sua natura, naturalmente la ricompone nell’ orizzonte di vita. Citando alcuni studiosi (Dolto, Oppenheim, Grollman), la Prof.ssa Bastianoni sottolinea quanto sostenevano: l’ educare non può prescindere dall’ instaurare un dialogo che contenga in sé anche il tema della morte, come parte integrante dell’ esistenza umana e conclusione naturale della vita, affinchè il bambino possa sviluppare una visione realistica del mondo. Ed è allo sviluppo di una visione realistica del mondo che s’ improntano la pedagogia e la didattica di un altro grande maestro, Mario Lodi. L’ apprendimento parte dal bambino, dal suo mondo, da ciò che conosce e gli è caro, dalla quotidianità che stimola domande, quindi è necessario associare qualsiasi materia d’ insegnamento alla vita di tutti i giorni. Nella scuola vissuta di Mario Lodi, il bambino è al centro del processo, impara giocando, utilizzando la mente e i sensi; la classe diventa un laboratorio del fare insieme. Anche la morte diventa un processo, e non un singolo evento, di cui parlare, e il lutto del singolo diventa lutto collettivo. L’ educazione alla morte del maestro Mario Lodi non è circoscritta al territorio dell’ emergenza, ma si avvale di momenti di riflessione sui significati del morire prima del verificarsi di un lutto. La perdita di una persona amata ha ricadute emotive significative all’ interno della vita di un bambino, così come in quella di un adulto. Le esperienze luttuose affrontate in un contesto culturalmente sensibile creano uno spazio mentale e di riflessione intellettuale per elaborare la perdita, uno spazio emotivo, dove il dolore trova legittimazione.

Entrare nel tema, prosegue l’ autrice Papini, significa trovare una forza profonda che nasce dalla capacità di definire la nostra vita e gli eventi intorno a noi. Quando un bambino chiede: dove andiamo dopo morti? e gli viene risposto: in cielo, lui cercherà a testa in su le persone care. Esiste una discrepanza tra ciò che è narrato ai piccoli e la vita vera. I bambini sono come ogni altra persona, l’ età non li esenta dall’ esperienza del distacco. Dobbiamo essere preparati a rispondere almeno con un libro quando un piccolo ci chiede, per curiosità oppure per necessità. Perchè muoiono i nonni, i genitori e i fratelli, gli zii, i cani e i gatti. I bambini assistono attoniti a scene di guerra senza filtri, poi si ha il timore di non trovare i vocaboli per spiegare loro l’ accadimento. Le parole vanno scelte. E’ difficile. Ma necessario. Ai bambini vanno date parole sensate, ricche, belle, va data densità, sintesi, poesia, arte. Verità. In Soldatini sparati, la madre del piccolo ammalato dichiara: la regola suggerita dall’ ospedale è quella di dare sempre la verità ai bambini…che è dolorosa ma sicuramente più educativa dell’ inganno. I libri sono ponti , l’ adulto che li sceglie deve affidarsi ai propri desideri, alla bellezza di parole e immagini, alla sincerità del contenuto. Inutile fare giri di parole quando dobbiamo andare al punto: possiamo solo essere poetici, sinceri ed erogare bellezza. La poesia permette di affrontare l’ assenza rendendo fruibili le parole del distacco.

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Da sinistra, Dott.ssa Michela Schenetti (Autrice), Dott. Alessandro Failo (Autore), Dott.ssa Arianna Papini (Autrice),  Prof.ssa Paola Bastianoni (Autrice e Responsabile del Progetto Culturale), Dott.ssa Michela Pazzi ( Onoranze Funebri – Pazzi), Dott. Stefano Ravaioli ( Giornalista di Telestense – Moderatore)


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