In Italia i primi gruppi di Auto Mutuo Aiuto (A.M.A) si sono diffusi grazie alla sensibilità e all’operato dello psichiatra croato V. Hudolin che ne aveva sperimentato l’efficacia, con gli alcolisti e i loro familiari, a partire dal 1964 a Zagabria e dal 1979 a Trieste, con il nome di Club degli Alcolisti in Trattamento. Grazie alla preziosa opera di Hudolin si è sviluppata e diffusa la pratica dell’A.M.A, come efficace forma di intervento sociale nel disagio psichico e negli stili di vita a rischio. Nel tempo questo tipo di gruppi si sono diffusi e organizzati fino ad essere riconosciuti anche ufficialmente a livello internazionale, a partire dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). A tal proposito quest’ultima ha definito il mutuo aiuto come l’insieme di “tutte le misure adottate da non professionisti per promuovere o recuperare la salute di una determinata comunità”, indicando inoltre come l’auto mutuo aiuto costituisca uno strumento di provata efficacia per promuovere e proteggere la salute dei cittadini. I servizi sociali e sanitari pubblici o di Terzo settore, che si occupano a vario titolo di assistenza alle persone in difficoltà, hanno un ruolo importante nell’attivazione dei gruppi, che sono formati da persone che condividono un problema o una condizione e si uniscono per un supporto reciproco e per trovare nuovi modi di affrontare le difficoltà di vita. Partecipare a un gruppo significa compiere uno sforzo individuale (auto aiuto), per rompere la solitudine e il silenzio con cui si vive l’esperienza dolorosa, recuperando una ritualità di condivisione e di elaborazione comunitaria (mutuo aiuto).
Nello specifico i gruppi A.M.A dedicati al lutto esprimono la necessità dei partecipanti di condividere la propria perdita con altre persone che hanno subito una perdita simile, questo permette ai membri di sentirsi maggiormente compresi, da chi ha vissuto la stessa sofferenza. La funzione del gruppo è quella di dar voce al dolore nelle sue diverse espressioni e contribuire in questo modo a sensibilizzare i componenti al variegato mosaico del lutto.
Il gruppo, per riunirsi, deve tuttavia avere a disposizione un luogo che sia: chiuso, accogliente, protetto e silenzioso, dove poter svolgere gli incontri con tranquillità e in completa privacy. Le caratteristiche principali che il gruppo deve possedere sono: la partecipazione gratuita, il non giudizio, ovvero a tutti è data la possibilità di raccontarsi ed esprimere le proprie emozioni, senza essere giudicati e la presenza di un facilitatore o conduttore. Si tratta tuttavia di un impegno poiché è richiesta puntualità agli appuntamenti che hanno un orario e un giorno stabilito della settimana, occorre infatti avvisare il gruppo della propria assenza, qualora si fosse impossibilitati a parteciparvi. L’assenza di un membro, se non annunciata infatti, crea una forte apprensione nel gruppo, poiché assume le sembianze di un anello mancante che destabilizza i partecipanti poiché s’instaura un forte legame relazionale. Nel gruppo sono molto attivi i neuroni a specchio, spesso accade infatti che nel momento in cui un membro piange, come una reazione a catena, piangono anche gli altri. Inoltre, si tratta di un pianto liberatorio poiché spesso non ha trovato possibilità di espressione fra le mura domestiche. A questo proposito, infatti, i conduttori riferiscono che nonostante il gruppo non sia terapeutico, poiché non è un gruppo di terapia, tuttavia, la sua valenza terapeutica è straordinaria.
Ogni lutto per quanto simile è sempre diverso in funzione di chi lo vive, tuttavia, i lutti più difficili da elaborare, secondo l’esperienza dei facilitatori, sono quelli relativi alla perdita di un figlio e per suicidio, entrambi, seppur diversi, sono accomunati dal grande senso di colpa che accompagna i sopravvissuti. Inoltre, sebbene il lutto sia caratterizzato dal dolore a tutte l’età in cui si viene colpiti, per le persone anziane però, le difficoltà vengono amplificate spesso da una forte solitudine che talvolta è proprio caratteristica della loro fase di vita. All’interno del gruppo, ogni persona, che inizialmente si percepisce spesso solo come bisognosa d’aiuto e spesso “inutile”, può sperimentare invece d’essere in grado di fornire aiuto; da soggetto passivo, quindi, diviene soggetto attivo, verso se stesso e verso gli altri. Frequentare un gruppo di auto-aiuto permette di confrontarsi e condividere i propri sentimenti ed emozioni in un clima di supporto reciproco, conoscere persone che hanno attraversato o stanno attraversando le stesse difficoltà, attenua la solitudine e aiuta a capire i sentimenti degli altri membri della famiglia che stanno vivendo il lutto. I conduttori riportano episodi un cui alcuni partecipanti hanno dichiarato di essere usciti a divertirsi e di aver anche festeggiato, a seguito di una perdita dopo una lunga malattia di un familiare, la fine della propria e altrui sofferenza. Tuttavia, questa espressione di sollievo e di riappropriazione di vita non riesce ad essere confidata in famiglia, a causa di vergogna, timore di un giudizio negativo e di dar luogo a conflitti.
Il gruppo permette di uscire dall’isolamento e stabilire nuove relazioni, anche di amicizia. Fra i benefici che offre il gruppo vi è anche quello di imparare a gestire meglio lo stress attraverso lo scambio di esperienze, infatti, incontrare persone che hanno superato gli stessi problemi o hanno trovato modi ottimali per affrontarli e gestirli, può regalare speranza e ottimismo. Il dolore guarisce quando lo si condivide, il gruppo diventa un luogo in cui i dolori personali sono accolti per trasformarsi gradualmente in esperienze di crescita. Le perdite gravi e/o improvvise generano, nella vita di chi vive, un senso di caos dovuto al crollo delle precedenti strutture esistenziali e relazionali, legate a determinati modi di pensare, sentire e agire, il cui venir meno provoca una crisi d’identità. Tale senso di caos si manifesta sotto forma di confusione, mancanza di fiducia in sé, incertezza, perdita di motivazioni e tendenza all’isolamento. Il processo di ricostruzione della propria vita include tre fasi, secondo diversi studiosi, tra cui Bourgeois: l’accettazione cognitiva della perdita; l’accettazione emotiva della morte; e il cambio d’identità tra il Sé passato e il Sé attuale, il quale è un cambiamento che avviene a livello intrapsichico e interpersonale. L’autore segnala anche degli indicatori di avvenuta guarigione da un lutto: il ritorno dell’energia per assolvere i compiti della vita quotidiana, in assenza di essa il senso di vuoto e di inutilità diventano protagonisti della routine di vita; la progettualità futura per non rimanere intrappolati nel passato e l’adattamento e l’interpretazione del proprio ruolo sociale.
E’ bene sottolineare però come sia sempre difficile comunicare al gruppo che non si prenderà più parte agli incontri, soprattutto per paura di arrecare un dispiacere agli altri membri, tuttavia, nel gruppo, “non si staziona” ma si compie un percorso. A questo proposito una facilitatrice di gruppi A.M.A per il lutto, Daria Cozzi, racconta la sua metafora, ovvero il gruppo è come un autobus “l’autobus percorre il suo tragitto e a volte fa delle fermate, dove chi sale trova chi ha lo stesso problema e ha scelto di fare lo stesso percorso, ad un certo punto però è necessario, per tutti i passeggeri, scendere una volta raggiunta la propria fermata.”.
Giada Zucchini, psicologa e psicoterapeuta
DIPINGERE UN SOGNO PER ALLONTANARE LE PAURE
“Quando un bambino entra in ospedale i suoi sogni in parte si fermano attraverso il mio progetto invece io desidero restituire ai piccoli pazienti la voglia di sognare”
Queste sono le parole di Silvio Irilli, artista e fondatore nel 2012 del Progetto artistico e benefico che prende il nome di “Ospedali dipinti”, progetto nato con l’intento di rendere l’ambiente ospedaliero un luogopiù accogliente e meno traumatizzante,soprattutto per i bambini, attraverso pannelli decorativi a tema.
Decorare un reparto di un ospedale non è solo abbellire con delle immagini un ambiente dal punto di vista estetico ma vuol dire cercare di regalare un po’ di sollievo ai pazienti che devono affrontare esami, terapie e operazioni. Lo scopo è quello di combattere l’indifferenza degli spazi ospedalieri, troppo spesso ambienti incolori ed austeri che riflettono le preoccupazioni di chi vi si trova ad entrare. Alla base del progetto e del suo sviluppo c’è infatti la solidarietà, perché le opere sono realizzate e finanziate interamente grazie alle donazioni di Onlus, Fondazioni e aziende che desiderano donare un dipinto ad un determinato reparto. E’ altrettanto degno di attenzione il fatto che molto spesso dietro una raccolta fondi per la realizzazione di un’opera c’è spesso una storia particolare, un lutto, un dolore. Le donazioni permettono una nuova nascita, una trasformazione da qualcosa di brutto a qualcosa di bello, da un fatto privato ad un’opera di bene a servizio di tutti coloro che transitano nei reparti ospedalieri. Da sempre infatti uno dei concetti fondamentali del Progetto, è quello di non far spendere denaro agli ospedali e alla Sanità, perché è il contributo delle persone, la collaborazione di Onlus, sponsor e delle aziende locali a far realizzare un sogno tutto a colori nei reparti. Ecco perché, come dichiara il fondatore, la firma più bella e non è la sua ma di tutti coloro che contribuiscono e si sentono parte di una donazione.
La prima opera è stata commissionata nel 2012 quando l’Ospedale Policlinico Gemelli di Roma si rivolse a Silvio Irilli, conosciuto all’epoca come illustratore di numerose riviste di prestigio, per assegnargli un compito tanto importante quanto inaspettato: decorare un corridoio del reparto di Radioterapia Oncologica con i suoi disegni. Questa prima opera, finanziata in tempo record attraverso una raccolta fondi, è stata solo l’inizio di un lungo lavoro che ha condotto all’intera decorazione del bunker del reparto di Radioterapia Oncologica del Gemelli, attraverso una serie di grandi pannelli raffiguranti fondali marini popolati da delfini, tartarughe e pesci colorati. L’intervento riscosse un grande successo tra medici, pazienti ed opinione pubblica tale da spingere Silvio Irilli a dar vita a questo Progetto, che oggi conta 6000 m2 di superfici decorate in 19 ospedali italiani.
Il tema del mare è quello più realizzato oltre a fornire la possibilità di creare grandi scenari con cui i bambini possono interagire ha anche un duplice significato: senza l’acqua non ci sarebbe la vita e, allo stesso tempo, nell’acqua c’è una vita meravigliosa, che fa sognare e regala serenità.
I dipinti infatti oltre ad avere la funzione di umanizzare i luoghi di cura, sono anche simbolo di affetto e portatori di un messaggio di speranza ai pazienti, in particolar modo ai più piccoli. Con il concetto di umanizzazione delle cure, si ci vuole occupare e preoccupare del paziente non solo dal punto di vista fisico della malattia ma secondo l’approccio bio-psico-sociale secondo il quale la persona malata, è al centro del processo di cura e non ridotta a mera portatrice di una malattia. Numerosi studi hanno infatti dimostrato, nel corso del tempo, che il modo in cui il paziente e i familiari vivono e percepiscono l’esperienza della malattia è influenzato, anche dalla comunicazione con il personale sanitario e dalle caratteristiche dell’ambiente fisico, con risvolti sul percorso di cura e sugli esiti clinici. A questo proposito l’ artista afferma che il suo scopo è quello di creare un ambiente emozionale che permetta di far entrare il paziente in un’altra dimensione, riducendo così le preoccupazioni e i pensieri riguardo la propria salute. Le emozioni costituiscono una risorsa cruciale per comunicare e promuovere relazioni; sono un processo dinamico con il quale l’individuo si adatta e risponde alle situazioni in cui si viene a trovare. Le emozioni hanno la particolarità di essere una forma di comunicazione e la comunicazione in questi luoghi più che mai deve essere necessariamente positiva. Diventa ancora più importante quando terapie ed operazioni le devono affrontare i bambini, che si trovano per forza maggiore in un contesto che è al di fuori del loro mondo familiare e scolastico. E’ importante offrire una continuità con la vita quotidiana dei bambini per ridurre il disagio dell’ospedalizzazione, ricreando aspetti tipici del mondo dell’infanzia in un reparto ospedaliero, che li consenta di continuare a sognare, affinché il loro percorso di cura possa essere vissuto il più possibile con la spensieratezza tipica della loro età.
” Quando creo un’opera per un reparto pediatrico, penso ad un aspetto importante che è quello di come il medico possa conquistare la fiducia del bambino durante le cure e le terapie. Quando questo accade, si crea un’interazione con l’ambiente circostante e il bambino ascolta con più sicurezza le indicazioni del medico per la terapia, trasmettendo un messaggio di tranquillità anche per i genitori. In quest’immagine c’è l’abbraccio, ci sono nuovi amici, c’è accoglienza, disponibilità, ma soprattutto c’è tanta FIDUCIA A COLORI”
IL TEMA DEL LUTTO NEL LIBRO “VA’ DOVE TI PORTA IL CUORE”
«Questa lettera avrei dovuto scriverla a tua madre, invece l’ho scritta a te. Se non l’avessi scritta per niente allora sì che la mia vita sarebbe stata davvero un fallimento. Fare errori è naturale, andarsene senza averli compresi vanifica il senso di una vita».
Era il 1994, quando venne pubblicato il romanzo dell’ autrice triestina Susanna Tamaro, dal titolo “Va’ dove ti porta il cuore”.
Il libro ebbe un grande successo negli anni novanta diventando un best seller con 16 milioni di copie vendute in tutto il mondo, è stato inoltre inserito tra i 150 Grandi Libri che hanno segnato la Storia d’Italia.
Si tratta di una storia sulla vita e sulla morte dove il tema del lutto è molto presente a partire dalla stesura del romanzo stesso. Infatti, l’ autrice si trovava nella sua casa sull’Alpe di Siusi quando, in procinto di terminare lo scritto, le arrivò una telefonata con una terribile notizia: il suo migliore amico Pietro si era tolto la vita suicidandosi. Fu questo un evento che sconvolse la scrittrice, ma allo stesso tempo decisivo, infatti trascorsi alcuni giorni di lutto e influenzata da quanto accaduto, scrisse la parte conclusiva di “Va’ dove di porta il cuore”.
Inoltre l’idea di realizzare un romanzo epistolare che come protagonista ha una nonna che scrive alla nipote, è sorta nell’autrice in seguito alla sua personale perdita della nonna materna Elsa, avvenuta anch’essa in quel periodo e con la quale sentiva la necessità di realizzare una forma di comunicazione. Non a caso infatti, Olga, la protagonista del romanzo, è un’anziana signora triestina di quasi ottant’anni che in seguito ad una malattia che l’ha colpita, sa che non gli rimane più molto tempo da vivere e per questo motivo, scrive sotto forma di diario una lettera alla nipote Marta, che vive in America. L’intento è quello di ripercorrere la storia della sua vita e raccontare alla nipote verità nascoste e scomode riguardo la loro famiglia affinché la ragazza sia a conoscenza dei segreti che la riguardano. La scrittura assume per l’anziana una funzione terapeutica, infatti l’atto dello scrivere le permette di riappropriarsi della sua identità e di ritrovare il senso della sua esistenza, nonché di evadere dalla solitudine .
L’intento di Olga è quello di riportare un equilibrio nella relazione con la nipote con la quale nell’ultimo periodo vi erano stati contrasti che avevano portato ad un accordo fra le due, secondo il quale, avrebbero dovuto lasciare trascorrere un po’ di tempo prima di rimettersi in contatto.
Tuttavia la nonna decide di sciogliere questo patto, iniziando la lettera raccontando un dolce aneddoto riguardo l’infanzia della nipotina. I ricordi sono i veri protagonisti del romanzo, carichi di emozioni e riflessioni, alternandosi fra i sogni e la realtà di una giovane Olga che era curiosa di scoprire il mondo ma che era sempre stata ostacolata da una famiglia dalle rigide convenzioni.
Olga si racconta a cuore aperto tanto che le narrazioni acquisiscono spesso lo stile di confessione degli eventi successi. Il romanzo mette a confronto due diverse generazioni e due diverse età attraverso il rapporto, a tratti difficile e fatto di incomprensioni, tra una nonna e una nipote.
Nella trama del libro emerge nuovamente il tema del lutto a causa delle perdite drammatiche che hanno segnato la vita della donna, che vengono raccontate con onestà, non nascondendo i momenti di debolezza e l’incapacità di elaborare tali lutti.
Trattandosi inoltre di una narrazione compiuta quasi in punto di morte, il volume si caratterizza quasi più come un testamento dai connotati affettivi, frutto della volontà di donare qualcosa, non un bene materiale ma un insegnamento,. attraverso un messaggio di libertà rivolto alla giovane nipote e allo stesso tempo, tramandare ciò che una nonna ha appreso nel corso della sua lunga e travagliata vita.
La nonna la esorta infatti a non sentirsi smarrita, di fronte alle scelte della vita ma di far spazio alle emozioni ed ai sentimenti, ascoltandoli e facendosi accompagnare da essi.