Testo: Silvana Gandolfi
Illustrazione: Fabian Negrin
Edizioni Salani 2001 (prima edizione 2000)
Elisa, dieci anni, ha un rapporto splendido con la propria nonna, Eia, con cui condivide anche le tre vocali del proprio nome.
Una persona fuori dagli schemi, la nonna. Come la nipotina vive a Venezia però, anziché in una casa “normale”, ha deciso di stare in una catapecchia, come la definisce la madre di, senza riscaldamento che però le permette di stare vicino al mare e soprattutto un capannone enorme in cui dipingere. La nonna infatti, madre single, aveva mantenuto se stessa e sua figlia, la mamma di Elisa, dipingendo opere che potessero andare bene per i turisti. Oramai grande vive con poco grazie alla pensione e può finalmente dipingere quello che vuole e non quello che deve.
Il tempo che non dedica alla pittura lo passa con la nipote. Insieme recitano Shakespeare, girano per Venezia giocando al gioco dei ciechi, ridono e chiacchierano tantissimo, raccolgono frutta e verdura nel campo coltivato dall’anziana signora.
Due frasi hanno sempre caratterizzato le loro chiacchierate, ripetute come un appuntamento fisso. Un pensiero di Shakespeare
<< Sappiamo quel che siamo, ma non quel che possiamo essere>> ed una frase della nonna << Il trucco per farla in barba alla morte, è di trasformarsi>>.
Però Elisa non avrebbe mai pensato che la nonna volesse prendere alla lettera questi pensieri!
Tutto ebbe iniziò lentamente.
Un giorno, dopo aver mangiato insieme degli zaeti, a merenda
<< Quando, prima di andare via, mi accostai alla nonna per darle un bacio, mi accorsi di quanto sciupato fosse il suo collo. La pelle, fredda e cascante, formava delle borse vuote e delle pieghe sotto il mento. Non mi ero mai soffermata a riflettere sull’inesorabile sgretolamento dei corpi delle persone anziane. >>
Da quel momento l’attenzione per il corpo della nonna crebbe.
E così ancora alcuni giorni dopo si rese conto che
<<La treccia bianca che sembrava di lana, un po’ meno spessa di come la ricordavo. Notai le braccia. L’abito estivo con le maniche corte lasciava scoperti gli avambracci, i gomiti parevano non esserci, tanto erano tondi. I polsi erano due tronchetti larghi e muscolosi, E le mani! Due spatole, con grosse dita corte che a malapena riuscivano a stringere il sottile pennello. Le unghie solide e squadrate. (..) Anche il busto si era ingrossato e la schiena aveva assunto una postura decisamente curva che la rendeva tonda come una collinetta. (…) Mi sembrò terribilmente vulnerabile. Mi dava le vertigini vederla in quello stato.>>
Sino a quando un giorno non accadde l’irreparabile. Come sempre Elisa era andata a trovare la nonna. Non trovandola in casa l’aveva cercata ovunque: nel capannone, nel piccolo campo, sotto il letto. Non c’era. Tornata in cucina nota un movimento su un lato della stanza centrale. Lì, tanto inaspettata quanto enorme, c’era una tartaruga gigante. Elisa non credeva ai propri occhi. Anche perché la creatura aveva qualcosa di familiare. La forma della testa, il colore degli occhi, le espressioni del volto. La bimba incuriosita si era avvicinata ed un odore familiare l’aveva colpita: il profumo della nonna.
Sconvolta aveva chiesto alla tartaruga se lei fosse Nonna Eia. Allora la testuggine, con la straziante calma che le appartiene, aveva lentamente iniziato a scrivere sulla sabbia la risposta.
Dopo una lenta “conversazione” la nonna-tartaruga le aveva comunicato di aver fatto suo il motto << Il trucco per farla in barba alla morte, è di trasformarsi>>. Si era così trasformata in una Geochelone gigantea, delle tartarughe capaci di vivere sino ai duecento anni. Insomma, così trasformata lei coi suoi ottant’anni era una giovinetta!
La storia di Elisa ed Eia, a cui si aggiungerà la mamma della bambina, continua con lo stile impeccabile di Silvana Gandolfi, capace di tenere in equilibrio colpi di scena, riflessioni, descrizioni accurate e sguardi mai banali, con un’attenzione particolare al fantastico che diventa metafora e simbolo. Basti pensare al rapporto di trasformazione del corpo della nonna ed al momento di accompagnamento e saluto che ne consegue.
Privo di intenti moraleggianti e grazie all’apertura ad un fantastico “realistico” il romanzo ci catapulta narrativamente dentro questioni e domande fondamentali. Come il rapporto col corpo ed il suo ineluttabile invecchiamento. La speranza delle persone più anziane di poter cercare vie di fuga dalla morte. La visione del momento della separazione tra chi vive e chi muore e le possibili forme di lento saluto e accompagnamento reciproco. Grazie ad un alternarsi di piccoli scorci o lunghe dissertazioni, alle scelte delle protagoniste o domande narrative irrisolte, ci accompagna dentro uno dei temi preferiti di Silvana Gandolfi: il tempo. Come quello degli intrecci tra le storie degli antenati e delle generazioni successive. O ancora di come le scelte personali del passato influenzano le possibili strade future, tanto del singolo che in chi gli sta accanto. Tutto questo avviene con l’attenzione alla narrazione che tanto contraddistingue la penna dell’autrice. Nella lettura le riflessioni vengono vissute grazie ai dialoghi appassionanti, agli sviluppi narrativi, alla particolarità delle protagoniste sempre concrete e credibili.
E quindi con piacere che concludo questo breve percorso su nonn* e morte grazie ad un piccolo classico da riscoprire e da far conoscere.
Emanuele Ortu, pedagogista
Breve intervista per conoscere meglio l’autrice e sentire la sua voce: