Con la sensibilità di nonna, Andra, nata a Fiume nel ’40, da madre ebrea e padre cattolico, comincia a raccontare al nipotino la verità sulla sua esperienza al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, sotto forma di una “fiaba a puntate”, calibrando la narrazione all’età di Joshua. Il bambino, venuto a conoscenza delle privazioni a cui era stata sottoposta la nonna, per consolarla inizia “a nascondere nella borsa della nonna alcuni suoi giocattolini, per farle una sorpresa […]” che lei “conserva ancora oggi come la cosa più preziosa che abbia mai ricevuto.” Nel corso del tempo Andra, su richiesta del nipote, procede con la narrazione della sua terribile esperienza che diviene sempre più realistica, dettagliata e ad alto impatto emotivo: inizia ad elaborare il dolore offrendo così a Joshua la grande opportunità di cogliere le molteplici emozioni che hanno accompagnato la sua fanciullezza. Andra testimonia di come ci si possa abituare a tutto, come a giocare tra pile di cadaveri fingendo che siano montagne, di come si accetti la morte della madre, in realtà non avvenuta, di come non si abbandoni mai, neppure di notte, il proprio cucchiaio per la sbobba, unico strumento per mangiare. Ed è così che Joshua, ormai sedicenne, di fronte alla richiesta scolastica di produrre un elaborato su una “esperienza formativa”, chiede di poter simulare, per una settimana, la vita nel campo di sterminio, accettandone tutte le privazioni fisiche, emotive e relazionali. Per Andra “quello fu il miglior regalo di Natale che avesse mai ricevuto.” Andra viene, in seguito, invitata a parlare agli studenti e agli insegnanti non solo della scuola del nipote ma anche di altre numerose scuole americane e italiane, accompagnata e tenuta per mano da Joshua, pronto a sostenerla. Anche grazie a questo, la donna trova il coraggio di ritornare, dopo cinquant’anni, ad Auschwitz-Birkenau, prima con la sorella maggiore Tatiana, poi con il nipote. “Vedi, Joshua, avevo molta paura, fino all’ultimo non ero convinta di andare perché non sapevo che effetto mi avrebbe fatto […] Temevo di tornare a casa e crollare, di avere gli incubi e quei terribili mal di testa che mi hanno tormentata per tutta la vita. Ma trovai il coraggio e alla fine feci il viaggio fino in Polonia insieme a Tatiana. Per fortuna non era inverno, con il gelo e il fango, ma primavera e c’erano l’erba, i fiori e il sole. Questo rese la cosa più sopportabile.” La visita al campo di sterminio assieme al nipote è un pugno nello stomaco per lei, ma lo è soprattutto per Joshua, che solo lì capisce e comprende veramente cosa ha dovuto vivere la nonna. “Quando siamo entrati ad Auschwitz-Birkenau c’era un silenzio totale […], invece il giorno in cui arrivarono la nonna e gli altri deportati, l’aria era piena di grida in tedesco e dei latrati dei cani. […] Siamo andati alla baracca dei bambini […], poi siamo stati all’ingresso delle camere a gas, mi sembrava di percepire le persone, le grida. […] Tutte le storie della nonna, tutto quello che avevo ascoltato ha preso forma, ogni cosa è diventata reale e mi è entrata dentro. Adesso ho davvero la sensazione di avere capito.” Joshua, oggi, ha ventotto anni e ha deciso di dedicarsi alla narrazione della storia della nonna Andra, perché il racconto diventi ricordo per poi divenire memoria: perché non è sufficiente non dimenticare, ma è necessario ricordare attivamente.
Ilaria Bignotti, psicologa
Calabresi M. “Sarò la tua memoria”, ed. Mondadori, Milano, 2023