Pensieri poetici sul di qua e il di là
Credo che la nostra civiltà abbia smarrito molti degli strumenti che aveva accumulato nei secoli per rapportarsi con un’esperienza fondante dell’umano come la morte (e dunque come la vita). Fra queste frecce perdute certamente si annovera la poesia. Nella mia piccola esperienza noto che pochissime persone leggono, mi vien da dire usano, la poesia ma ogni volta che le si espone ad essa tutte restano profondamente toccate. Come società ci siamo distaccati (per pigrizia? per disabitudine? per disavventure scolastiche?) da un linguaggio che ci è talmente proprio che non esitiamo a riconoscerlo non appena ne veniamo a contatto, anche se crediamo di averlo dimenticato.
L’intenzione è di aprire una finestrella, di far baluginare la fiamma di una candela, di lasciare un filo, una crosta di pane, un bicchiere di acqua chiara. Si può lasciare lì dov’è. Si può masticare e bere per quel che dà in quel momento. Si può forse afferrare il filo e cercare altro nutrimento, se piace. Tutto qui.
Michele Bellazzini, primo ricercatore dell’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna