Per un bambino la morte di un genitore è una esperienza immensamente dolorosa: in questa mutilazione egli non perde solo una sicurezza fondamentale della vita ma viene intaccata duramente anche l’innocenza del suo sguardo sul mondo.
La scomparsa della madre rappresenta per il bambino il più terribile lutto da accettare, mette in pericolo ogni sua certezza. Primo attore in questa tragedia è il padre a cui è affidato l’arduo compito di ripristinare un nuovo equilibrio negli affetti e nei ruoli all’interno del nucleo familiare (La mia vita è uno zoo, C. Crowe, 2011).
Non c’è un iter stabilito per far superare ad un bambino il lutto per il proprio genitore; è impensabile che semplicemente nascondendo o mascherando questa atroce perdita si possa proteggere il bambino dalla sofferenza che questo evento comporta.
Tuttavia il potere della fantasia e dell’immaginazione di un bambino, almeno nella fase iniziale del lutto, lo aiutano a mettere in campo una personale sublimazione del dolore (L’albero, J. Bertucelli, 2010) mentre gli adulti tentano le soluzioni più varie e concrete, come andare a vivere in altro paese per ricostruire insieme una nuova vita (Genova, M. Winterbotton, 2008) o intraprendere un viaggio per approfondire la conoscenza reciproca e per elaborare insieme il dramma della morte (Paradiso amaro, A. Payne, 2011).
Infine, uno sguardo a due differenti condizioni sociali e culturali: in una realtà mediorientale di grave povertà l’essere orfani fa crescere il coraggio, la solidarietà, lo smisurato bene tra fratelli (Il tempo dei cavalli ubriachi, B. Ghobadi, 2000) mentre un adolescente americano il cui unico interesse, dopo essere rimasto orfano, è quello di frequentare le cerimonie funebri si aprirà nuovamente alla vita quando l’amore per una ragazza lo investirà con tutto il suo carico di bellezza e disincanto (L’amore che resta, G. Van Sant, 2011).