La morte di un familiare a causa di un suicidio fa precipitare le persone investite da questo atto estremo, in uno stato di grave confusione e smarrimento; ad esso si aggiungono il profondo senso di vergogna sociale, l’ossessione dei perché, il senso di frustrazione per non essere stati in grado di fermare la volontà distruttiva della persona amata o di non aver saputo cogliere in anticipo il suo disperato appello.
Sopravvivere al suicidio di una persona significativa toglie ogni ragione alla propria esistenza, inchioda ad un destino che si desidera emulare, genera, nei rapporti umani, rifiuto e disaffezione e pervade l’animo di laceranti sensi di colpa (Gente comune, R. Redford, 1980 – La samaritana, K. Ki-Duk, 2004).
Dal suicidio può scaturire, altresì, una analisi lucida e disincantata della vita e dei suoi fondamentali valori per offrire all’esistenza una possibilità di riscatto e di affermazione positiva (Monsieur Lahzar, P. Falardeau, 2011 – La bottega dei suicidi, P. Leconte, 2012).
Ricercare la morte, prima che la stessa vita abbia fatto scadere il tempo a disposizione, si rivela una impresa non facile (Kill me please, O. Barco, 2010) così come immaginare la propria morte può risultare una strategia efficace per rinunciare ad essa e continuare a vivere (Il sapore della ciliegia, A. Kiarostami, 1997).