La perdita di un figlio è un tema ricorrente nel racconto cinematografico: i protagonisti, travolti dall’ evento luttuoso, si confrontano con esso nei modi più personali: perdita e annullamento della propria identità (Antichrist, L. von Trier, 2009); tentativi di rilettura e di riscrittura della propria esistenza, per offrire ad essa un nuovo corso o semplicemente un nuovo sguardo (La stanza del figlio, N. Moretti, 2001 – Welcome to the Rileys, J. Scott, 2010); apertura del proprio cuore alle domande esistenziali sul senso della vita e della morte (The tree of life, T. Malick, 2011).
L’ incapacità a rassegnarsi, l’angoscia e la disperazione per non essere stati in grado di evitare il terribile evento (Stolen, A. Anderson, 2009 – Racconto di Natale, A. Desplechin, 2008) il rifiuto degli affetti del figlio scomparso (Gli ostacoli del cuore, S. Feste, 2009) o, nel caso di morte violenta, la ricerca di una giustizia personale,di fronte alle inadempienze della legge, sono altrettante modalità di rapportarsi alla perdita. (In the bedroom, T. Field, 2001).
Uno spaccato, dunque, di situazioni luttuose e delle innumerevoli modalità di elaborazione che pongono i protagonisti a contatto col dolore più intenso e meno accettabile che possa colpire un genitore: la perdita della propria creatura.
Non a caso,infatti, in nessuna lingua esiste un termine per definire la condizione del genitore che perde il proprio figlio, mentre esistono precise definizioni per la perdita di altri familiari:la vedovanza o l’essere orfani.
Il cinema, dunque, cerca di raccontare l’impronunciabile.