“La zia e la nonna non mi hanno mai raccontato che cosa era successo. Continuano a pensare che io non lo so; ogni tanto, quando li incalzo e vorrei tirassero fuori il coraggio di dirmi la verità, cominciano a cambiare discorso, a dire che sei molto malata e che sei in un posto lontano per curarti. Si, certo… da due anni, mamma! Da due anni e non ti fai sentire?” (Baldry 2018).

Le parole di Alessia, 11 anni, reclamano a gran voce la verità, ci fanno capire quanto sia importante per gli orfani di femminicidio conoscere ciò che è accaduto, per provare a dare un senso ai cambiamenti repentini che stanno segnando la loro vita.

Quando i bambini non hanno assistito all’omicidio, spesso, gli adulti, pensando di proteggerli da una verità troppo dolorosa, eludono le loro domande, si mostrano indifferenti, come se non fosse cambiato nulla; in alcune situazioni la morte della mamma diventa addirittura un tabù del quale non si può parlare.

I familiari rimasti cercano di tutelare gli orfani dalla drammaticità della realtà, ma nasconderla non fa che generare in loro confusione, sfiducia e insicurezza, che possono portarli ad interpretazioni erronee dell’accaduto, come ad esempio attribuirsi la responsabilità di ciò che è successo (Pesce 2016).

È invece necessario dare spiegazioni semplici, ma chiare e veritiere… “Tommaso, devo darti una notizia che ti renderà molto triste. È successa una cosa molto brutta. La tua mamma è morta”.

“…Sai Linda, a volte gli adulti possono fare del male alle persone che hanno accanto, anche a quelle a cui vogliono bene. Il tuo papà era tanto arrabbiato, ha perso il controllo e ha fatto molto male alla mamma, l’ha uccisa. La tua mamma è morta” (Goffredo et al. 2018).

Parole da modulare a seconda dell’età del bambino, da ripetere tutte le volte che sarà necessario, senza utilizzare metafore e bugie.

I bambini hanno anche bisogno di sapere cosa succederà da lì in poi: chi si occuperà di me? Dove vivrò? Cosa ne sarà della mia casa?

Cara Simona, “da oggi i tuoi nonni si prenderanno cura di te. Vivrai qui con loro e potrai parlare per esprimere quello che pensi o che provi. Di qualunque cosa tu senta il bisogno puoi parlarne con loro” (ibidem).

Gli orfani non solo hanno bisogno di sapere cosa è successo, ma anche di poter dire addio alla loro mamma.

È importante trovare un modo perché possano salutarla, coinvolgerli nella preparazione del rito funebre e dare la possibilità di parteciparvi, se lo desiderano, in modo da poter dare l’ultimo saluto alla persona amata.

Luca ha voluto scegliere il colore dell’ultimo vestito che la mamma indosserà, quello con i disegni gialli, che metteva sempre al mare, Mara ha scelto con la nonna un fiore da riporre nella bara, Roberto è andato al funerale, ma ha voluto rimanere vicino alla porta della chiesa, per prendere una boccata d’aria ogni tanto.

Alessia invece la sua mamma non l’ha più rivista: “Non so se è un bene che non ti ho vista morta, o se invece poter vedere il tuo cadavere avrebbe almeno dato una forma alla “morte”, al senso di finito del corpo che non c’è più, ai gesti che non ci sono più, ai sorrisi che non ci sono più, agli sguardi che non ci sono più…non mi hanno nemmeno portata al funerale…se almeno tii avessi vista lì, in quella bara…almeno saprei dove è il tuo corpo, e saprei la verità. Perché non fa meno male se si racconta un’altra cosa” (Baldry 2018).

Conoscere la verità, essere resi partecipi di quanto accaduto e poter dire addio alla propria mamma, sono passi fondamentali, ma spesso trascurati, per poter intraprendere il difficile percorso di rielaborazione del lutto che gli orfani di femminicidio si troveranno ad affrontare.

Manuela Stucchi, pedagogista

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