L’ appuntamento con Michele Bellazzini nella rubrica  ” Cose dell’ altro mondo ” ci fa incontrare oggi la poetessa russa Anna Achmàtova.

Mentre scrivevo le ultime due Cose dell’altro mondo (#11 e #12), dedicate a Emily Dickinson, mi si è fatto largo un pensiero in mente: la prossima volta devo parlare di Anna Achmàtova. Non so dire perché. Forse perché, come la Dickinson, anche Achmàtova è una divinità della poesia. Ma, al contrario della giovinetta del Massachussets, Anna Achmàtova è stata una divinità della poesia anche da viva. Così come la vita della Dickinson è stata racchiusa nell’infinito guscio di noce della casa del padre, quasi monastica, quella della Achmàtova è stata tutta nel secolo, travolta dalla Storia, nell’arte cosmopolita e nella tragedia nazionale e personale. Una vita che è più che abbastanza:

Ma io vi prevengo che vivo

per l’ultima volta.

Né come rondine, né come acero,

né come giunco, né come stella,

né come acqua sorgiva,

né come suono di campane

turberò la gente,

non visiterò i sogni altrui

con un gemito insaziato.

Vi consiglio caldamente di sentirne il racconto, di questa vita, magistralmente ricostruito e detto da Alessandro Barbero, nella interessantissima, godibilissima conferenza che le ha dedicato nello scorso novembre. Vi sfido a trovare di meglio in una intera settimana di programmazione televisiva.

Proprio perché la Storia ha tanto a che fare, alle poesie scelte ho giustapposto la data.

Il miele selvatico sa di libertà 

Il miele selvatico sa di libertà,

la polvere del raggio di sole,

la bocca verginale di viola,

e l’oro di nulla.

La reseda sa d’acqua,

e l’amore di mela,

ma noi abbiamo appreso per sempre

che il sangue sa solo di sangue…

Invano il procuratore romano,

tra gridi sinistri della plebe,

lavò davanti al popolo le mani,

e invano la regina di Scozia

tergeva da rossi schizzi

le palme affusolate, nell’afosa

oscurità del palazzo reale…

 [1933]

2. [da Il vento della guerra]

Picchia col piccolo pugno, e aprirò.

Io a te ho aperto sempre.

Ora sono di là d’alti monti,

di deserti, di venti e calure,

ma mai ti tradirò…

Non ho sentito il tuo lamento,

non mi hai chiesto del pane.

Portami un ramo d’acero

o verdi erbette soltanto,

come la primavera scorsa mi portasti.

Portami un sorso della nostra pura,

fredda acqua della Neva,

e dalla tua testina color d’oro

laverò i segni del sangue.

[1942]

Anna Achmàtova

[da La corsa del tempo, a cura di Michele Colucci, Einaudi]