Torniamo a Dylan Thomas, qualche mese dopo, con l’altro polo delle sue più note poesie sulla morte. Questo è il polo dell’irriducibile speranza. Non della serenità, non della pace, non della chiara visione. Dell’attraversare il campo di battaglia, sfondare il muro, a qualunque costo. Della feroce, inarrestabile forza della vita, che non si fa rinchiudere. Dunque sommamente tempestiva, pienamente adatta ai tempi. Aspettando che i pazzi e gli schiantati irrompano al sole. La libertà. Perché la morte non abbia più dominio.
E la morte non avrà più dominio
E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i rendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà,
E la morte non avrà più dominio.
[da Poesie, Einaudi, traduzione di Ariodante Marianni]