Ottanta parole mi separano dal silenzio, unico compagno appropriato di quel che viene dopo il pino, che è stato scavato nel suono del vento. Uno potrebbe contare ottanta, settantanove, settantotto, all’indietro, per dare un segno di attesa, perché il processo contenga il segno della sua fine, e metterci zero, per soprannumero, per ridondanza, per margine di tolleranza. Odysseas Elytis, che abbiamo già incontrato qui, mi chiama dall’estate, da una copertina ramata e dorata. Non si può non prestare ascolto. Ottanta. Silenzio finalmente, sentite il vento, il mare…
E la cosa più importante di tutte: morirai.
Il Corno d’Oro, l’altro, spalancherà per te
La bocca, ché tu lo possa varcare col volto bianco
Mentre la musica proseguirà e sugli alberi
Che mai ti voltasti a guardare la brina congederà
A una a una le tue opere.
E sì! Pensa fin da ora.
Se la verità stilla
gocce se la Galassia si espande
Realmente: allora dilavato sfolgorante con la mano sulla
Nobiltà dell’alloro te ne vai più Greco
Persino di me che per te soffiai nello stretto un vento propizio
Ti preparai nelle valigie calce e acquerelli
La piccola icona con luglio e agosto dorati
Sapendo che tu mi ospiterai,
Viandante smarrito,
Posando sulla tovaglia
Il pane le olive e la coscienza
Il nostro primo giorno nella patria, la seconda,
nel mondo di lassù.
[da Il giardino che entrava nel mare, ARGO editrice, Lecce, 2004 a cura di Massimo Cazzulo]