Veniamo da un periodo oscuro. Il peggio sembra passato ma non si può non temere per il futuro. Proprio per questo non possiamo esimerci ora dal respirare, dal fare incetta di luce, di forza e di calore. Abbiamo, noi italiani, una grande fortuna, una grande risorsa: la bellezza della nostra terra, modellata dal dono del cielo e da millenni di sapiente e duro lavoro. Non c’è bisogno di tanto cercare, anche un campo ben curato, un filare di vite, un fico che cresce ostinato fra le rocce, un’edicola di devozione, un mazzetto di basilico. Dobbiamo prendere la forza dovunque essa sia perché magari a noi sembra di essere tornati normali ma i traumi hanno lasciato segni profondi, sotterranei. C’è tanto gelo che deve essere disfatto. Coraggio!

 Il calore necessario non è lontano. Sono qui attorno i santi amuleti della buona fortuna.

 

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

 

Eugenio Montale

[da Ossi di seppia]

 

 

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