In questa notte di poco coraggio vi propongo le parole, forti e gentili, di un poeta combattente. Ricche di religioso mistero. Parole che ci richiamano al dominio della luce, alla benedizione delle forze naturali. Alla capacità di mettersi nei panni altrui, di uscire dal giudizio, di respirare l’anima del mondo: “Non era dura per nessuno di quelli che, smarrendo la strada, desiderano perderla per sempre.”.

Ad arrendersi alla vita, a non arrendersi al male.

“Piégati soltanto per amare. Se muori, ami ancora.”.

Jaquemard e Julia

Una volta l’erba, nell’ora in cui le strade della terra declinavano concordi, alzava teneramente gli steli e

accendeva le sue luci. I cavalieri del giorno nascevano nello sguardo del loro amore e i castelli delle loro amate contavano tante finestre quante lievi tempeste comporta l’abisso.

Una volta l’erba conosceva mille motti che non si contraddicevano.

Era la provvidenza dei volti bagnati di lacrime. Ammaliava gli animali, dava ricetto all’errore. La sua distesa era paragonabile al cielo che ha vinto la paura del tempo e affinato il dolore.

Una volta l’erba era amica dei folli e nemica al carnefice. Convolava nozze con la soglia ininterrotta. I giochi da lei inventati avevano ali al loro sorriso (giochi assolti ed egualmente fuggitivi). Non era dura per nessuno di quelli che, smarrendo la strada, desiderano perderla per sempre.

Una volta l’erba aveva stabilito che la notte val meno del suo potere, che le fonti non complicano a piacere il loro corso, che il seme che s’inginocchia è già a metà nel becco dell’uccello. Una volta terra e cielo si odiavano ma terra e cielo vivevano.

L’inestinguibile siccità scorre. L’uomo è uno straniero per l’aurora.

Tuttavia a perseguir la vita che non può essere ancora immaginata, ci sono volontà che fremono, bisbigli che si affronteranno e fanciulli sani e salvi che scoprono.

René Char

[da Poesie, trad. Giorgio Caproni, a cura di Elisa Donzelli, Einaudi]