Un segno, un mistero. Qualcosa che arriva dall’intangibile e che si fa tempo. Che entra nel deperibile. Per scelta, per amore. Qualcosa che sentiamo immensamente preziosa e immensamente fragile, di cui il mondo attorno non sa accorgersi. Qualcosa che per il solo essere qui è perduta, qualcosa di cui dobbiamo avere cura, una cura disperata, cui dobbiamo provvedere un riparo indispensabile ma che sappiamo momentaneo, come ogni riparo.

Questo è un caso che esigerebbe il silenzio, silenzio che è materia di questi versi, è tema e sostanza, è richiesta. Ecco, finalmente ci siamo.

Ti libero la fronte dai ghiaccioli                                   

che raccogliesti traversando l’alte                           

nebulose; hai le penne lacerate                                 

dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo                         

l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole                     

freddoloso; e l’altre ombre che scantonano                           

nel vicolo non sanno che sei qui.

Eugenio Montale

[da Le occasioni; E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori]