Qui i rondoni arrivano verso il 10 di aprile e ripartono prima della metà di luglio. Altrove è diverso, anche a pochi chilometri da qui si trattengono più a lungo. Tuttavia sappiamo tutti che si tratta di una visita breve. Così è per le cicale: le più ardite abbandonano la loro vita ipogea prima che finisca giugno, ma è nella prima settimana di luglio che emergono en masse, glorioso sottofondo assordante del tempo del sole. L’estate è dunque un regno specialmente effimero, popolato di impermanenza. E tuttavia percepito come durevole, l’estate sta, l’estate sembra sempre che non possa finire. Sono le nostre estati di bambini che ci hanno intrappolato in questa percezione? Sia pure, benedetta trappola!

Forse la lunghezza di ciascun giorno estende il tempo vissuto? Non so, ma tutto mi pare denso di metafore di allusioni.

Tutto è segno.

Nessun respiro più.

Come quando il vento del mattino

ha avuto ragione

dell’ultima candela.

Dentro di noi c’è un così profondo silenzio

che una cometa

diretta verso la notte delle figlie delle nostre figlie

la sentiremmo.

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Ho rialzato gli occhi.

Di là dalla finestra,

in fondo al giorno,

immagini comunque passano.

Spolette oppure angeli dell’essere,

ricuciono lo spazio.

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Eppure tu,

o cancellato del tutto

che lasci a noi meno cenere

del fuoco di una sera al focolare,

o invisibile abitante dell’invisibile,

o seme nella nicchia dei nostri cuori,

come che sia,

rimani come modello di pazienza e di sorriso,

simile al sole sulla nostra schiena ancora

che rischiara la tavola, la pagina, e l’uva.

[Philippe Jaccottet

Da Pensieri sotto le nuvole, Trad. e cura di Fabio Pusterla, marcos y marcos]

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