Se è abbastanza notte, se si fa abbastanza silenzio, si può per un momento guardare negli occhi tutto ciò che tace. Gli oggetti, i frutti spiccati dalla pianta. La castagna matta tenuta vicina contro i malanni di stagione. Se il vento si fa abbastanza largo si sentono nuovi profumi. Si coglie un frammento di voce, un sussurro sotto soglia. Si accarezza una felicità. Duole la tenerezza, la nostalgia infinita di tutto il bene che avrebbe potuto essere, che ancora potrebbe, di tutta la pace. È talmente chiara, basterebbe così poco. Niente è più minuscolo dell’infinito.
All’infinito
Niente è più minuscolo dell’infinito
Guardatelo fra due numeri
Che spazio occupa?
Quanto tempo?
Niente è più vasto dell’infinito
Guardate come veste l’universo
Come misurare lo spazio che copre?
Come sondare il suo tempo?
Niente è più reale dell’infinito
Lo urtiamo a ogni passo
[ e ogni respiro
Come una pietra su un sentiero
Niente è più illusorio dell’infinito
Nel guscio di lumaca dei nostri sogni
In due specchi uno di fronte all’altro
Dicono che Dio è infinito
Forse è la ragione del suo silenzio
Ma questa poesia non riguarda la teologia
Cerca semplicemente di contenere
[ senza scoppiare
La materia gioiosa dell’infinito.
[da Oscuro come il tempo, di Emmanuel Moses,
Molesini Editore, Veneszia. Traduzione di Andrea Molesini]