Una volta a Pechino ho comprato da un distributore automatico una bottiglietta di quello che pensavo fosse tè freddo, verde. Saltò fuori che invece era infuso di crisantemi. Lo trovai buonissimo. Così quando incappammo in un grande negozio di tè chiesi di quell’infuso e mi vendettero un grosso sacchetto verde. Solo dopo averlo portato in Italia scoprì che conteneva candidi capolini, perfettamente integri. Benché essiccati sembravano fiori freschi, avevano un profumo meraviglioso, delicatissimo, il sottile, imprendibile profumo dei crisantemi.  La scorta mi durò a lungo, era diventata un’abitudine notturna gettare qualche fiore nel pentolino e poi bere quell’acqua verde e profumata. Lui, benché molteplice e talvolta spettacolare, riesce sempre a mantenere basso il profilo, in luminoso silenzio. Da noi si è fatto fiore dei morti perché è tanto bislacco da voler fiorire nell’autunno più avanzato, nella piccola estate novembrina dalla luce tanto limpida. Khrysós  ánthemon, il fiore dorato. Trova i suoi impollinatori fra insetti tanto marginali da restare in giro quando tutti si sono già ritirati, farfalle grigie, vespe solitarie, incerte sull’esistenza di altri esemplari, grate e stupefatte di tanta abbondanza (perché poi, se sono sola al mondo?). Si trova in mille declinazioni, forme e colori umili e regali, semplici margherite e maestose sfere. Generazioni di giardinieri pazienti a fare la bellezza con le mani, una bellezza che resta replicandosi, tornando ogni autunno dalla terra. Che bel modo ingannare il tempo, il tempo fatto di inganni.

Qui c’è un libro sacro
un diluvio che non smette
di cascare, un fitto
che salda la notte.
Qui è caso e libro
pericolo delle parole
senza sponda.
Sacro il silenzio bianco
dove nessun pensiero
ha il cappio. Folgori
rincorrono le spalle,
ti alzi in volo
lento e tiepido,
ogni mattina sei messa
al mondo. Il cuore si spezza
per seminare giardini.

[da Pane del bosco, Chandra Candiani, 2023, Einaudi Editore]

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