Quando Jalal ad-Din Rumi morì Dante Alighieri aveva otto anni. È piuttosto notevole che due colossi di tale statura siano stati in questo mondo simultaneamente, anche se per pochi anni. Forse quello era il tempo dell’amor del cielo, tempo di cui essi sono semplicemente stati meravigliosi figli. Mi affascina che Jalal ad-Din sia passato alla storia con un soprannome che ne sancisce il legame diretto con noi: Rumi significa “il romeo” ovvero il romano, dal termine greco Rhōmaîoi. I “romani” che parlavano greco erano gli abitanti dell’impero romano d’oriente, che noi chiamiamo impropriamente bizantini, e Rumi deve il suo soprannome al fatto di essere nato in un paese dell’odierno Afghanistan che a quell’epoca era parte dell’impero d’oriente. Benché persiano di lingua e di cultura e mussulmano Jalal ad-Din era nato romeo e, ad oggi, questa cosa gli è restata appiccicata addosso per più di settecento anni. L’Afghanistan di otto secoli fa è molto più vicino a noi di quel che sembri, forse più vicino di quello di oggi. Sono davvero tante le strade che portano a Roma.
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L’artista
Sono artista, pittore, creo idoli ad ogni istante,
e poi, tutti quest’idoli, ai Tuoi piedi infrango!
Evoco cento fantasmi e li imbevo di spirito
ma quando vedo il fantasma Tuo, li getto tutti nel fuoco!
Sei tu il coppiere degli ebbri o il nemico sei della sobrietà?
O sei tu uno che distrugge ogni casa che edifico?
In Te l’anima è dissolta, con Te è mescolata:
ecco io carezzo la vita solo perché profuma di Te!
Ogni goccia di sangue che germina da me, alla Tua polvere dice:
ho lo stesso colore che il tuo amore, sono compagno della tua passione.
Nella dimora d’acqua e d’argilla senza di te distrutto è il cuore:
entra, o Amato, in casa o lascerò io, la casa!
Annegarsi in Dio
Ieri, all’alba, passando mi disse l’Amato:
“Sei fascinato, fuori di te: quanto questo deve durare?
Il mio volto fa invidia alla rosa e pur tu gli occhi hai riempito
di lacrime di sangue di cuore cercando la spina!”
Dissi: “O tu, davanti alla cui snella statura il cipresso pare un arbusto
O tu, davanti alla cui guancia lucente è nero il cero del firmamento,
O tu, che hai tutti sconvolti i cieli e la terra,
non è cosa strana ch’io non abbia presso di te udienza!”
Disse: “Son io l’anima tua e il tuo cuore: perché sei tu stupefatto?
Non far più parola e sii ancora, al mio petto di gelsomino, aiola dolente!”
Dissi: “O tu che all’anima e al cuore hai strappato la pace
di tacere non ho la forza”. E allora ei disse d’un tratto:
“Tu sei del mio oceano la goccia: a che più parli ancora?
Annégati in me, e l’anima conchiglia abbi piena di perle!”
[da Rumi – Poesie mistiche, a cura di Alessandro Bausani, Classici BUR, Rizzoli]