E’ difficile parlare della diagnosi di una malattia che può portare a morte, anche se non è così vicina o per lo meno non sembra esserlo. Parlare dando dei tempi più o meno statisticamente indicativi di quando questo è probabile avvenga per noi o per una persona a noi vicina, getta nella maggior parte dei casi nella disperazione. Eppure, tutti dobbiamo morire, è insito nella natura umana, ma prenderne coscienza è un’altra cosa. L’impressione è che non ci sia più tempo, non ci siano abbastanza parole, tutto diventa doloroso e veloce; e questo ci impedisce di vivere al meglio anche quello che ci resta della nostra vita o della vita delle persone accanto a noi, di condividere le cose importanti che ancora si possono fare, di accompagnarci l’un l’altro verso un ignoto inevitabile.
“Comunicare una diagnosi (primo delicato passo della famiglia nel cammino terapeutico) significa soprattutto “mettere in comune” qualcosa, entrare in sintonia e in relazione con la famiglia e con il bambino, cercando però di avere consapevolezza e coraggio nel non essere per loro troppo invasivi; la maggiore difficoltà nel comunicare una diagnosi o meglio “un progetto di cura”, infatti, non è tanto nel “cosa” dire ma nel “come” dirlo e con quanti dettagli. Il tutto ovviamente nel rispetto, per quanto riguarda il bambino, della sua età”.
Queste parole del prof. Momcilo Jankovic, scritte più di 20 anni fa, ben riassumono la delicatezza del parlare di una malattia grave di un bambino.
Da non molto tempo si è presa in considerazione l’importanza di parlare anche ai bambini della loro diagnosi. Questo li rende in grado di capire cosa sta succedendo, migliora la loro collaborazione nelle procedure diagnostiche e l’aderenza al trattamento. Il momento in cui viene comunicata la diagnosi è spesso ricordato in modo preciso per molti anni ed è l’inizio di una nuova traiettoria per la famiglia.
Molti sono gli studi che hanno evidenziato che i pazienti e i loro genitori ritengono vi siano caratteristiche importanti sia proprie dei medici coinvolti nella cura che delle relazioni medico-paziente, ritenute di aiuto nell’affrontare la comunicazione di una malattia impegnativa e il percorso che l’accompagna.
Per quanto riguarda i medici vengono sottolineate le caratteristiche personali di onestà, fiducia e empatia.
Per gli adolescenti è importante che la relazione con i medici che li seguono sia amichevole e che essi vengano visti, prima di tutto, come persone e non come un insieme di sintomi. Importante è il rispetto reciproco all’interno della relazione medico-paziente, dimostrato dal riconoscere le priorità dell’adolescente e le sue richieste, ad esempio il poter mantenere relazioni sociali nei periodi vicini ai trattamenti; viene sottolineata l’importanza del rispetto della privacy, dato dall’accogliere segnali che indicano la volontà di non parlare in determinati momenti, o di non parlare davanti a più persone del reparto, ma di avere degli incontri separati.
I genitori riconoscono il rispetto nei loro confronti quando i medici hanno un comportamento di attenzione per loro, anche solo con un saluto; ma soprattutto quando viene riconosciuto il loro ruolo di genitori e, in quanto tali, esperti di quello che riguarda il loro figlio. Per i genitori è importante che il medico abbia l’onestà di riconoscere i propri eventuali limiti di conoscenza professionale e sia empatico soprattutto nelle situazioni di diagnosi infausta.
Il linguaggio con cui si parla deve essere sempre diretto, chiaro, il più semplice possibile. Se si parla ad un bambino deve essere adeguato alla sua età; deve essere comprensibile senza essere troppo semplice o infantile. E’ importante non utilizzare parole tecniche, che vengono vissute dagli adolescenti come un tentativo di mantenerli senza potere. L’approccio con i più grandi deve essere diretto soprattutto su argomenti delicati, quali gli effetti collaterali delle terapie, la prognosi della malattia e il suo interferire con la vita futura, ad esempio sulla fertilità.
Il tempo dedicato a un incontro in cui si parla della malattia di un bambino o di un adolescente deve essere calcolato in modo da poter permettere risposte ad eventuali domande e chiarimenti di dubbi. Genitori, bambini e adolescenti riconoscono che vi è uno shock iniziale nel ricevere una diagnosi infausta. Il venire a patti con questa informazione che sconvolge la vita richiede tempo, cosa che dobbiamo sempre tenere in considerazione. E’ importante dare informazioni precise anche sui tempi della cura, in modo che i genitori si possano organizzare.
Continuità della cura. E’ importante che sia sempre lo stesso specialista, per quanto possibile, a prendersi cura del paziente e a parlare con lui e con i suoi genitori Questo per evitare potenziali problemi di comunicazione tra colleghi o la necessità di ripetere spiegazioni o la storia medica più volte, a differenti medici.
Fonti di informazione. L’aumento dell’uso dei social network tra gli adolescenti si riflette nella ricerca di fonti di informazioni sulla loro malattia (ad esempio adolescenti con il cancro preferiscono discuterne con i medici che li seguono, poi con un altro teenager ammalato di cancro e infine con i loro genitori).
Luoghi di conversazione. Ai genitori non piace avere discussioni sulla prognosi della malattia in vicinanza del figlio che non ne è a conoscenza, perché sono convinti che “una chiacchierata negativa” può avere un effetto negativo sul di lui.
Quali sono le informazioni da comunicare?
Informazioni sulla terapia e sul trattamento. I genitori riconoscono l’effetto dirompente di una comunicazione del genere sulla capacità di capire e di ritenere l’informazione, per cui è sempre importante valutare quanto è stato capito, ripetere l’informazione, offrire una seconda spiegazione in un momento successivo ed eventualmente delle informazioni scritte. Quello che più interessa sapere è quanto concerne il futuro immediato e a lungo termine. Gli adolescenti invece hanno bisogno di avere più informazioni sugli effetti collaterali della terapia, quali possono essere le loro reazioni emotive, l’organizzazione temporale del trattamento, la possibilità di ricadute e gli effetti a lungo termine, quale per esempio la loro possibilità di avere figli.
Informazioni sulla prognosi. I genitori vogliono più informazioni possibili su questo argomento, vogliono poter capire; richiedono, infatti, che le informazioni sulla prognosi vengano loro spiegate con attenzione, in termini di possibile scala temporale di eventi e corredate di dati sulle statistiche di sopravvivenza (quando questo non è possibile o non è disponibile i genitori desiderano avere i limiti delle informazioni disponibili e delle conoscenze incerte). Le informazioni prognostiche aiutano nel mantenere la speranza per i loro figli. I genitori che dichiarano di essere molto sconvolti dalle informazioni sulla prognosi, continuano comunque a chiedere informazioni più frequentemente degli altri genitori. E’ importante che i medici ne siano consapevoli, per essere in grado di fornire le informazioni in modo adeguato alla reazione del genitore.
Prendere decisioni. Le famiglie sentono che le loro decisioni sono supportate dall’onestà dei medici, dall’avere tempo per decidere, dalle discussioni sui rischi e i benefici e dalla comprensione non giudicante delle possibili scelte che si decide di prendere.
Preferenze su chi deve essere coinvolto nella comunicazione.
Età. Vi è un consenso generale verso una maggior inclusione dei bambin nelle consultazioni mediche con l’aumentare dell’età.
Presenza del bambino. Le riserve dei genitori sul fatto che il bambino sia presente sono dovute alla paura di non essere in grado di rispondere a domande specifiche sulla prognosi e l’essere preoccupati sul possibile effetto emotivo della loro ansia sul bambino. Al contrario, i genitori sono meno ansiosi se il figlio era presente alla prima conversazione sulla diagnosi e il trattamento.
Last but not least
A volte una mano sulla spalla o un silenzio accogliente e non casuale o uno sguardo diretto e sicuro hanno più potere di mille parole. La comunicazione non verbale ha sempre un ruolo importante. In quel momento la fretta o il pensiero impegnato in altre cose vengono percepiti dalla sensibilità dei pazienti e dei loro familiari, sensibilità che si acuisce nei momenti di maggior impegno emotivo. “Esserci” non è facile, ma rientra nell’impegno del medico di mettere da parte se stesso per lasciarsi inglobare nell’incontro con un’entità più estesa, un noi, che comprende quel bambino e quella famiglia.
Paola Miglioranzi
Riferimenti bibliografici
Jankovic M. Come parlare ai bambini della loro malattia. Prospettive in Pediatria 1999, 29: 61-66. Stein A, Dalton L, Rapa E, Bluebond-Langner M, Hanington L, Fredman Stein K, Ziebland S, Rochat T, Harrop E, Kelly B, Bland R, Communication Expert Group. Communication with children and adolescents about the diagnosisof their own life-threatening condition. Lancet 2019; 393: 1150-1163.