2020-2021
La progettualità per l’anno 2020-2021 si articola nelle seguenti attività:
- Ricerca: Lockdown 3 – emozioni, stress e coping
Parte prima: https://www.unosguardoalcielo.com/lockdown-3-emozioni-stress-e-coping-parte-prima/
Parte seconda: https://www.unosguardoalcielo.com/lockdown-3-gli-studenti/
- Ciclo di webinar
27 Novembre 2020 – 4 Dicembre 2020 (replica)
Come parlare della morte ai piccoli?
Relatrice – Prof.ssa P. Bastianoni
Nelle due serate di Venerdi 27 Novembre e Venerdì 4 Dicembre 2020 si sono tenuti i due webinar sul tema della comunicazione della morte ai bambini condotti dalla prof.ssa Paola Bastianoni. I due seminari hanno inaugurato il ciclo di webinar gratuiti sul lutto promossi da Uno sguardo al cielo. Gli incontri condotti dalla prof.ssa Paola Bastianoni si sono concentrati su un tema emotivamente complesso per gli adulti, che richiede una riflessione personale su come si posizionano gli adulti rispetto alla morte per comprendere se e come riescono a parlarne ai bambini. Questi posizionamenti, a loro volta,sono strettamente correlati alle modalità con cui la morte è stata affrontata ed elaborata nel corso della propria vita (Bowlby, 1989; Bertolucci, Ferrandi; 2015; Testoni, 2016). Durante i webinar sono stati affrontati, nello specifico, gli atteggiamenti più diffusi adottati dagli adulti di fronte al tema della morte: l’atteggiamento evitante/distratto, quello inclusivo e infine l’atteggiamento rivolto all’accettazione del mistero della morte (Campione, 2012). L’atteggiamento evitante è quello principalmente rivolto a “distrarre” il bambino dalla morte, a separarlo da tutti gli eventi prossimi alla perdita: il commiato dal morente, il saluto alla salma, il funerale, la visita al cimitero. Questa strategia, che sembra adattiva a breve termine perché, nell’intenzione dell’adulto, preserva il bambino dal dolore della perdita, tuttavia determinando l’esclusione del minore dalla partecipazione all’evento e negando la condivisione dei nuclei affettivi ed emotivi più profondi, relega il piccolo ad una condizione di estrema solitudine. Gli adulti che l’adottano sono persone che non riescono ad affrontare la morte, la vivono come un tabù, un dolore da evitare perché troppo potente(Choen, 2002; Navarini, 2003; Iaquinta, 2019). Il secondo approccio, meno diffuso per frequenza, è quello che invece mira ad integrare la morte con la vita, accettando il dato di realtà: in questo caso gli adulti, per professione o per esperienza di vita, hanno imparato a fronteggiare la morte e ritengono che l’autenticità sia il principio guida da adottare nella comunicazione con i bambini partecipi della perdita di una persona a loro cara. Essi non temono di affrontare con i bambini i contenuti, i vissuti e le emozioni legati alla morte, in quanto legittimano la possibilità di sostare nel dolore. Sono adulti che riescono ad affrontare il lavoro del lutto e ad accompagnare i loro bambini nelle diverse emozioni e fasi che l’elaborazione del lutto comporta. Infine, esiste un terzo atteggiamento che accomuna le persone che non negano la morte, la includono nella vita e sono disposte ad accettare il mistero ad essa legato, integrando nel messaggio educativo rivolto ai bambini, il dubbio strutturale che la morte induce come evento di per se’ imperscrutabile. Nel corso del seminario sono state date informazioni specifiche relative anche alle diverse rappresentazioni della morte in età evolutiva, che variano a seconda delle tappe di sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini. I piccoli transitano dall’idea della morte come un evento reversibile, non universale e che non li coinvolge all’idea della morte come un evento irreversibile, universale e che ha cause specifiche, inclusa una dimensione magica, fino ad approdare all’idea matura del lutto inteso come evento irreversibile, biologico a carattere universale (Lamberto, 2005; Aringolo, Di Giunta, 2014). Nello specifico, sono state definite le modalità più appropriate per parlare ad un bambino della morte, a partire dalle fasi più precoci dell’esistenza, ossia quando la perdita di un adulto significativo può diventare un evento altamente disfunzionale in termini evolutivi e adattativi. Queste modalità sono definite in funzione di una lettura attenta delle domande latenti o esplicite che un bambino si pone o rivolge all’adulto, in relazione ai vissuti emotivi predominanti che vengono elicitati dagli eventi luttuosi, tra cui la rabbia, la paura, l’angoscia e il senso di colpa (Oppenheim, 2004, Varano, 2012).
11 Dicembre 2020
Il sostegno al lutto nelle cure palliative
Relatrice – dott.ssa M. L. Serafino
Il mio interesse ad approfondire il sostegno al lutto nelle cure palliative, come afferma la dott.ssa Serafino, nasce dalla considerazione che ciò avviene nei mesi e nei giorni che precedono il grande passaggio, ha una rilevanza speciale nella vita di una persona. L’esperienza del dolore alla fine della vita, è spesso un dolore globale. Il mio intervento si muove a partire da alcuni interrogativi: mentre per ciò che concerne il dolore fisico è stato fatto molto e le persone prossime alla morte possono usufruire di un adeguato accompagnamento, nel caso del dolore esistenziale, poiché esso coinvolge tutte e 4 le dimensioni dell’essere umano ovvero fisico, psicologico, sociale e spirituale, quali sono gli interventi che possono essere ancora messi in atto? Cosa significa dunque, in quest’ ottica, il lavoro “dell’ accompagnare”? Stare con chi intravede la propria morte è diverso dal semplice “occuparsi di”: significa non limitarsi a offrire assistenza medica o infermieristica, ma anche garantire alla persona che muore la possibilità di non essere sola nel suo difficile cammino. Aiutarla a sentirsi viva, accolta per quello che è, così come è: aiutarla a RI- significare quel momento. Partendo da queste considerazioni indagheremo come si renda sempre più necessario per il medico e per tutti gli operatori sanitari, assumere nella propria attività assistenziale una prospettiva centrata sulla dignità e mettere in azione un repertorio di pratiche miranti a conservare la dignità della persona morente. Tutto questo implica dunque la necessità di confrontarsi continuamente con i propri bisogni, con il proprio senso della finitezza, con il proprio senso di solitudine.
18 Dicembre 2020
La morte sui social
Relatrice – dott.ssa S. Battistello
L’utilizzo del digitale ha aperto nuove possibilità nell’elaborazione del lutto o il becchino digitale vuole disintegrare la morte dissolvendola in un’immortalità virtuale? Il seminario proverà ad esplorare le riflessioni e le possibili risposte che nel tempo recente molti ricercatori della Digital Death stanno provando a definire. Tra i vari scritti e interviste a cui l’argomentazione proposta si richiama, sono contenta di citare, anche il libro “Il sogno dell’eternità”, curato dalla prof.ssa Paola Bastianoni, alla cui scrittura ho partecipato, dedicando lo spazio di un capitolo al tema. Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han sostiene che il web rende possibile protocollare tutta la nostra vita, che si riflette, sia che ne siamo consapevoli o no e che lo accettiamo o meno, nella rete digitale. Il nostro destino sarà quello di diventare degli spettri digitali, a disposizione di chi incappi in un qualsiasi dato registrato nell’arco temporale della nostra vita. Per la maggior parte di noi, e per la quasi totalità dei prossimi che ci seguiranno, la nascita, la crescita, il matrimonio come il divorzio saranno eventi condivisi in narrazioni che noi facciamo su di noi, per noi e per gli altri. La narrazione web ci vede protagonisti, allo stesso tempo, sia come autori e sia come oggetto del nostro racconto che conduciamo con il mondo interconnesso. Impariamo a vivere contemporaneamente l’abitazione tradizionale, fisica, in cui ogni giorno torniamo, così come l’abitazione virtuale, raggiungibile (quasi) sempre ed ovunque, in cui riponiamo i dati e gli oggetti digitali che ci appartengono e che condividiamo online. La nostra è una vita oramai “onlife”, interconnessa tra mondo fisico e virtuale, l’uno influenzando fino a significare l’altro. Così come la vita, lo è anche la morte. A fine secolo, i social network che conosciamo saranno i cimiteri più grandi del mondo, abitati da spettri digitali nella cui casa non sarà necessario chiedere il permesso per entrare. Questi zombie muteranno il senso che la morte restituisce al mondo pronunciando la parola fine e questo, inevitabilmente, avrà immense ripercussioni sul percorso di elaborazione del lutto. Sulla Digital Death si discute molto, intravedendone le ombre, ma anche molte luci. La delega insistente dei nostri ricordi all’abitazione artificiale ci offre, infatti, nuove soluzioni e opportunità al nostro complicato rapporto con il fine vita e con il tempo che passa. Prendendo a prestito le parole del filosofo, Davide Sisto, che maggiormente si sta concentrando nel capirne il significato e le sue conseguenze, è ormai giunto il tempo “ora di prenderne coscienza e di affrontarle con cognizione di causa se non si vuole rimanere impreparati dinanzi a un ritorno della morte nello spazio pubblico tanto repentino quanto imprevisto” (D.Sisto, La morte si fa social, Torino: Bollati Boringhieri, 2018).
7 Gennaio 2021
Lockdown fase tre: emozioni, stress e coping
Relatore – dott. M. Serio
L’indagine condotta da Paola Bastianoni, Pierpaola Pierucci e Mauro Serio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara si è svolta attraverso la compilazione online di un questionario tra il 12 e il 24 maggio 2020 e si è concentrata sugli stati d’animo, fattori di stress e comportamenti di coping nella cosiddetta fase tre del lockdown. L’indagine era aperta a tutti i cittadini. Nel momento di questa rilevazione, nei giorni in cui le restrizioni dovute alle decisioni prese per circoscrivere le conseguenze della epidemia di Covid19 cominciavano ad allentarsi, l’ipotesi dei ricercatori era che le conseguenze di tale situazione non si riducevano di pari passo con i tempi di riconquista delle libertà temporaneamente sospese, almeno per una parte significativa della popolazione. Dalla rilevazione generale questo è apparso subito vero, non tutti riuscivano ad attivare modalità di coping, e quindi capacità di resilienza, in grado di riportare in tempi brevi l’equilibrio psico-fisico-sociale ai tempi pre-covid19. Questo dato che veniva da subito confermato dalle prime elaborazioni delle risposte ricevute era un ulteriore elemento che spingeva ad intervenire subito si alcune tipologie di popolazione prese in esame, come ad esempio quella degli studenti. Anche da questo, ma non solo da questo, l’Università di Ferrara ha attivato il progetto Da soli mai proposto e gestito dalla prof.ssa Paola Bastianoni. Il fatto che esistano differenze abbastanza piccole nelle modalità di coping in relazione alle diverse situazioni sociali, il tipo di occupazione o la situazione contrattuale, sembra indicare che le modalità di coping siano fondamentalmente connesse alla situazione specifica che deve essere affrontata. Abbiamo voluto valutare anche l’impatto sulle caratteristiche di coping delle persone che hanno dichiarato di fare volontariato rispetto al gruppo generale. Ci sono differenze significative nelle modalità di coping, ma non possiamo dire se sia l’attività stessa di volontariato a produrre tali differenze oppure le disposizioni personali di chi decide di dedicare le sue competenze e il suo tempo ad svolgere attività utili per la comunità e le altre presone. Se prendiamo in considerazione l’aspetto dei sentimenti e delle emozioni dichiarati dai rispondenti ci accorgiamo quanto la disposizione individuale sia influente su come le persone attivano le proprie modalità di coping creando un vero e proprio spartiacque tra un tipo di emozioni che vengono vissute come fastidiose:, sentirsi spaventato, irritato, ansioso, apatico e un altro tipo vissute come tranquillizzanti: sentirsi sicuro, rilassato, speranzoso, attivo. Rimane aperta la discussione su cosa possa influire su tale modalità personale di reazione: la struttura di personalità, l’ereditarietà, il carattere, i valori, l’esperienza. Forse tutti questi fattori hanno importanza per non ritornare all’eterno dibattito su ciò che è innato e ciò che è appreso. Ad oggi appare difficile pesare i diversi fattori ma certamente possiamo affermare che i dati della ricerca indicano che le persone, di fronte alla medesima situazione, possono reagire diversamente in base alla loro condizione sociale, ma soprattutto possono reagire diversamente in base alle loro disposizioni personali. Questo lascia ampi margini operativi per favorire nelle persone in difficoltà la crescita di capacita di coping e di resilienza di fronte ad eventi stressanti.
14 Gennaio 2021
Storie di figlie, mogli e compagne. Sembrava amore, ma era morte: crimini contro le donne
Relatrice – Prof.ssa N. Monacelli
I miti, la storia, la nostra storia
La figlia di Jefte offerta in olocausto (Giudici, 11), la concubina del levita di Efraim offerta dallo stesso concubino per uno stupro collettivo (Giudici, 19), il sacrificio di Efigenia, lo stupro di guerra delle Sabine, le spose bambine, le donne scambiate, le donne vendute, le donne usate, abusate, le donne uccise: 111 donne uccise nel 2019, l’88,3% è stata uccisa da una persona conosciuta…
La violenza sarebbe quindi il proprio dell’uomo e il destino della donna quello di essere vittima?
Tutto cambia eppure sembra rimanere uguale
La prospettiva storica della violenza contro le donne sembra suggerire uno sconfortante fatalismo. Eppure i rapporti tra i sessi, in questo ultimo secolo, hanno affrontato una vera e propria rivoluzione copernicana. Mai come in questi decenni il dominio maschile, sia in ambito pubblico che privato, è stato messo in discussione e drasticamente ridotto.
Ma perché, allora, la violenza prevalente nella coppia è, ancora oggi, una violenza contro le donne?
Ridefinire le domande, ampliare le prospettive
Cosa significa riconoscere e delegittimare la violenza?
Come sopravvivono le vittime e come soccombono?
Come si è strutturato il sistema dell’aiuto alle vittime?
Che cosa succede alle donne che chiedono aiuto e ai loro figli?
La figlia di Jefte, talvolta più tardi chiamata Seila o Iphis, è una figura della Bibbia ebraica, la cui storia è raccontata nei Giudici 11. Il giudice Iefte aveva appena vinto una battaglia contro gli Ammoniti, e aveva giurato che avrebbe offerto la prima cosa che sarebbe uscita dalla sua casa come olocausto a Yahweh. Tuttavia, la sua unica figlia, una figlia senza nome, uscì per incontrarlo mentre ballava e suonava il tamburello (v. 34). Incoraggia Iefte a compiere il suo voto (v. 36) ma chiede due mesi per piangere la sua verginità (v. 38). Dopo questo periodo di tempo, Iefte adempie al suo voto e offre sua figlia. Ci troviamo davanti a uno stupro collettivo e alla mutilazione della donna abusata. Si tratta dell’ultimo episodio narrato dal libro dei Giudici (capitoli 19-21) in cui il protagonista è un levita di Efraim che si mette in viaggio per andare a riprendersi la concubina che è tornata alla casa paterna. L’uomo per riaverla con sé, decide di partire con l’intenzione di «parlare al suo cuore»: proprio come fece Sikem con la povera Dina, dopo lo stupro, quando si rese conto di amarla. Ma invece che con la donna, il levita si intrattiene con il suocero che, dopo averlo ospitato parecchi giorni, finalmente lo lascia partire insieme alla moglie. I due arrivano la sera tardi a Ghibea, città dei Beniaminiti, e vengono ospitati da un vecchio di Efraim. Improvvisamente i Beniaminiti bussano alla porta dicendo al vecchio di fargli uscire il levita «perché vogliono abusare di lui». Sarà lo stesso levita a spingere fuori la concubina che viene violentata per tutta la notte. Il mattino seguente il levita esce per riprendere il viaggio e trova la donna stesa con le mani sulla soglia della casa. «Alzati, andiamocene», le ordina, ma la donna non risponde, forse «perché era morta», come aggiunge il testo greco, a differenza di quello ebraico che la lascia supporre ancora viva. Viene caricata sull’asino e, una volta a casa, il levita impugna il coltello e taglia il suo corpo in 12 pezzi da mandare alle 12 tribù d’Israele. Sarà questo il pretesto per una guerra civile, per altri stupri e assassini.
“Il Signore radunerà tutte le genti contro Gerusalemme per la battaglia; la città sarà presa, le case saccheggiate, le donne violate…”[(Zaccaria, 14,2) “I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi; saranno saccheggiate le loro case, disonorate le loro mogli.” Isaia 13, 16)
28 Gennaio 2021
Pin Pin Korori, l’ultima libertà
Relatrice – dott.ssa D. Leban
La morte per lungo tempo nel mondo occidentale è stata rimossa, allontanata, dalla cultura. Morire è come fare qualcosa che non appartiene al mondo “civile”. Ma ci si dimentica che morire fa parte della vita. Come diceva il grande poeta Rilke “Morire è il prezzo da pagare per vivere”. Nessuno vuole pagare questo prezzo, ma ciò è ineluttabile. L’importante è che il morire possa essere “buono”, ovvero quanto più possibile vicino al carattere di quell’uomo o di quella donna che si trova in procinto di farlo. “Buono” nel senso di alleviare le sofferenze, “buono” nel senso di non perdersi negli spasmi dei patimenti che non portano ad alcunché. Ben vengano quindi le disposizioni legislative che permettano scelte consone al carattere e all’indole di quella persona che si trova in questo arduo e misterioso passaggio, che consentano di scegliere l’ultima libertà. Ognuno deve rimanere sé stesso fino all’ultimo, libero di scegliere se seguire o meno disposizioni che permettano di facilitare l’ultimo atto. La paura della morte, insieme alla sua accettazione, appartiene ad ogni essere umano: facciamo sì che il passo per accettarla sia lieve. Durante il webinar verranno esaminate le disposizioni di legge attualmente in vigore, ponendo in evidenza come il rendere la morte dignitosa e indolore, magari dando più spazio alle cure ed alla assistenza psicologica, significhi rendere migliore la stessa vita.
13 Febbraio 2021
Stand by me. Del dialogare con la morte nei libri per ragazze e ragazzi
Relatore – dott. E. Ortu
Cosa accade quando per la prima volta, da ragazze e ragazzi, scopriamo della morte nel suo essere concreta parte di noi? Nel romanzo The body Stephen King fa pronunciare al proprio alter ego posto dinanzi al corpo di un coetaneo adolescente “Il treno lo aveva strappato via dalle sue scarpe come aveva strappato via la vita dal suo corpo. Questo finalmente mi illuminò. Il ragazzo era morto. Non era malato, non stava dormendo. (…) Il ragazzo era morto. Morto stecchito. “ Nella letteratura per ragazze e per ragazzi il discorso sulla morte è ben presente ed articolato, con innumerevoli proposte lontane da quella pornografia della morte sempre più presente nella nostra società e da quelle forme di epurazione lessicale e relazionale. Una danza tra Storia Personale e Storia Narrativa capace di immortalare quel momento primigenio nelle sue differenti sfaccettature. Una scoperta, quella della finitudine, che spesso da luce ad altre curiosità e sensibilità. Come il voler comprendere il rapporto tra la propria unicità e l’alterità, la possibilità di rileggere la propria storia dentro la grande Storia, o ancora la necessità di sviluppare una propria riflessione escatologica. Il seminario vuole essere un punto di inizio per attivare un confronto ed uno scambio sulle domande che la letteratura per adolescenti pone a lettori e lettrici riguardo al tema della morte. Saranno analizzati romanzi, graphic novel, film scelti in primo luogo per la loro valenza di opere narrative, lontani cioè da quelle forme di storie tematiche e storie ricette, e per la loro capacità di essere luoghi tanto metaforici quanto concreti in cui sperimentare riflessioni e sviluppare trasformazioni personali.
24 Febbraio 2021
Separazione, perdita ed elaborazione del lutto. Esperienze nelle comunità di accoglienza per minori (0-6)
Relatrice – dott.ssa P. Pistacchi
Nel bambino piccolo la fame dell’amore e della presenza materna non è meno grande della fame di cibo (Bowlby 1988). Il legame di attaccamento è l’imprinting di tutte le future relazioni significative dell’individuo. Gli schemi con cui si interpretano la realtà e le relazioni si formano infatti proprio in questo periodo e ci condizioneranno per tutta la vita. Le madri che vivono una situazione di isolamento sociale o che non riescono a fornire supporto e sostegno psicologico corrono più facilmente il rischio di avere problemi nella cura del proprio bambino, o di sviluppare una depressione più grave arrivando persino ad inibirne il “contatto”. I bambini, a loro volta corrono il rischio di sperimentare quasi sempre un attaccamento disfunzionale con le figure genitoriali da necessitare di una riparazione a tale trauma primario. Qualsiasi libro si sfogli, che tratti il tema della maternità o dell’essere genitore, mette in evidenza quanto sia importante che la madre abbia attorno a sé una rete di sostegno, che risponda ai suoi bisogni, alle sue paure, incertezze e dubbi. In alcuni casi la “cura educativa” fornita dalle comunità di accoglienza madre-bambino può aiutare la diade a ridurre la portata degli eventi di vita traumatici e tentare di “riparare” un contenitore materno “bucato” per prevenire esiti disadattivi futuri proprio sul piano di quella genitorialità che si sviluppa nei primi mesi/anni di vita. Ma quando l’accoglienza della comunità madre-bambino non risulta efficace per supportare le capacità genitoriali possono essere previsti per il bambino altri percorsi come l’affidamento familiare o, nei casi più gravi, l’adozione. Certamente l’affido etero familiare può essere una risposta adatta per un bambino che ha sperimentato nella sua famiglia d’origine inadeguatezza, trascuratezza e relazioni distorte, tuttavia questo non è sempre un percorso facilmente praticabile e talvolta può rivelarsi persino inopportuno. Di fatto non sempre si riescono a reperire famiglie affidatarie adeguate e necessariamente preparate ad affrontare le molteplici problematicità dei minori allontanati e delle loro famiglie d’origine. Dibattiti molto accesi sono avvenuti sull’opportunità o meno di inserire bambini, soprattutto quando molto piccoli, in comunità per minori. Da più autori è stato affermato come non sia opportuno, ad esempio, inserirvi bambini e ragazzi che dovranno restarvi a lungo, sostenendo l’importanza di privilegiare l’affido familiare perché ritenuto un contesto relazionale più vicino alla normalità, più affettivo e più stabile. Il primo obiettivo, in ordine di tempo, della comunità per minori è quello di aiutare i bambini, a superare lo stress della separazione, dell’allontanamento e a volte della perdita dei genitori e dell’inserimento in un ambiente sconosciuto. Le comunità per minori vogliono e possono essere luoghi di accoglimento, di sosta, riposo e protezione, dove recuperare energie e prepararsi per il futuro, sperimentando relazioni significative con figure adulte positive che possano fungere da “base sicura” da cui ripartire. È importante nel lavoro educativo progettare spazi e attività che accompagnino i più piccoli a familiarizzare con il concetto della perdita, della separazione e del lutto e che preparino ad una elaborazione personale e condivisa del dolore e delle emozioni. È necessario aiutare l’educatore a trovare le proposte che permettano ai bambini di soffermarsi sulle tematiche dolorose senza generare stati d’animo di difficile contenimento e affrontare con loro le tematiche del lutto, della perdita e anche quelle della morte, perché anche quando non hanno subito perdite personali, i bambini sono circondati continuamente dalla morte. Il contesto educativo deve poter essere inteso come una sorta di “spazio transizionale di protezione”, un terreno d’incontro dove attraverso la mediazione dell’educatore il bambino possa elaborare i cambiamenti che la vita pone davanti utilizzando varie tipologie di linguaggi, alcuni tanto cari e prediletti dai bambini, si pensi al disegno e alla pittura, al gioco, alla narrazione di fiabe, altri meno usuali, ma ugualmente apprezzati, come la musica ancestrale, e le tecniche sul controllo del corpo e l’aumento della consapevolezza.
20 Marzo 2021
Il brutto anatroccolo che imparò a parlare al dolore: storia di elaborazione del lutto nell’adozione
Relatrice – dott.ssa A. Tonelli
Durante questo webinair verranno delineati tratti salienti ed intimi, nonché esperienziali, legati al mondo dell’abbandono. In modo particolare, verrà affrontato il tema dell’adozione attraverso l’elaborazione del lutto che tale processo richiede in ogni fase evolutiva del minore e nella costruzione del legame familiare adottivo. Un incontro di formazione che ha come obiettivo fondamentale quello di trasmettere l’autenticità e la complessità emotiva celata all’interno delle dinamiche familiari adottive, ripercorrendo le varie fasi di crescita ed “i non detti” che inducono a riconoscere nell’adozione un cammino colmo di criticità e di sensibilità, in grado di modificare il proprio equilibrio interiore a livello psicologico, specialmente se a viverlo è il figlio adottivo.
31 Marzo 2021
Del dolore e della morte in comunità per minori
Relatore – dott. A. M. Fucili
Affrontare il tema del lutto e della morte in Comunità è infrangere un muro immateriale. Non farlo è solamente inutile e dannoso. Ma di chi parleremo? Di cosa? E come? Se la comunità è un sistema composto da grandi e piccoli, con un funzionamento di tipo familiare, in un ambiente fisico che accoglie, dovremo parlare di tutto ciò. Cercando di raffinare la nostra attenzione, i nostri sensi, amplificandoli tanto da riconoscere ed ascoltare con maggiore facilità ciò che sussurra il dolore per un lutto. Ciascuno di noi utilizza modi diversi o strategie differenti per comunicare all’altro tale peso: e non sempre è il pianto o la malinconia ad essere palesato. In un contesto ricco di persone così diverse, e con storie così delicate, a volte drammatiche e comunque dense di dolore, non è facile districarsi tra segnali espliciti e meno evidenti. Per darvi un esempio di come si può comunicare, ad esempio in modo così diversa la morte annunciata, propria o di una persona amata, vi propongo di vedere, ascoltare traducendone anche il testo, due video musicali:
il primo è di Jarabe De Palo e si chiama Eso que tú me das
il secondo è di James Blunt e si chiama Monsters
- Vi invito infine a vedere il film “ Mister Morgan –last love” film del 2014 presente sulle piattaforme Prime e Netflix, prestando attenzione alla parte finale con la canzone Not Too Late di Norah Jones
Parleremo di quello che non siamo abituati a considerare argomento ordinario, così importante e centrale nella nostra vita di persone che curano l’altro attraverso la relazione di aiuto, tanto da essere la prima causa del burnout nel nostro tipo di vita.
9 Aprile 2021
Morte e riti funebri in una prospettiva islamica
Relatrice – dott.ssa C. Bonato
Ormai da tempo la sensibilità e l’attenzione verso i temi legati al fine vita hanno gradualmente acquisito identità e spazio nelle nostre riflessioni, anche di vita quotidiana. Peraltro, specialmente per alcune professioni, l’avere consapevolezza del significato del morire è divenuto di importanza fondamentale, al fine di instaurare una buona relazione di cura. Durante il webinar del 9 Aprile, nel contesto della rassegna del Progetto culturale “Uno sguardo al cielo”, saranno affrontati i temi della morte e dei riti funebri da una prospettiva poco nota: quella islamica. Sebbene i fedeli musulmani siano ormai da tempo parte del nostro tessuto sociale, poco sappiamo di come venga percepito il ciclo vitale e la morte, come siano vissuti gli ultimi momenti di vita, quali siano e che valore abbiano i riti che accompagnano la fine della vita di un fedele, o di una fedele, di religione islamica. La difficoltà di espletare coerentemente i riti funebri e di dare una giusta sepoltura ad un proprio caro può rappresentare per chiunque un ostacolo nel percorso dell’elaborazione del lutto. La pandemia dovuta al Covid-19 ci ha messo duramente di fronte a questa verità esacerbando, a tal proposito, delle problematicità già note negli ambienti specializzati e dando luogo, di fatto, a una situazione di “emergenza nell’emergenza”. Il problema delle (poche) sepolture islamiche in Italia, infatti, era già considerato tra i temi bisognosi di risoluzione e, per questo, inseriti nei percorsi di intesa tra Stato italiano e rappresentanze islamiche ma purtroppo, fino ad oggi, è ancora in attesa di valutazione. Nel corso del webinar verrà presentato anche il libro “Morte e riti funebri in una prospettiva islamica”, con il quale Cinzia Bonato ha vinto, nel 2020, la borsa di studio dedicata a Sara Cesari per la migliore tesi nell’ambito della death education, messa a disposizione dal Master Tutela, diritti e protezione dei minori dell’Università degli Studi di Ferrara e dalle Agenzie funebri Amsef e Pazzi di Ferrara.
22 Aprile 2021
La cultura come riparazione al lutto
Relatrice – dott.ssa E. Cappi
“Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica faranno la mia felicità fino alla mia morte”
(F. Truffaut)
“A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere” (V. Woolf)
“Ogni lettore quando legge, legge se stesso” (M.Proust)
“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira” (J.D.Salinger “Il giovane Holden”)
Ecco alcune citazioni, e queste potrebbero essere seguite da molte altre! Hanno tutte a che fare con la nostra primordiale sensazione di essere individui mancanti, alla ricerca continua di strade che ci portino sia a colmare i vuoti che ci accomunano, sia a fornirci percorsi rimarginanti e di benessere. La cultura rappresenta sicuramente una strada che porta in questa direzione. Anche quando potrebbe apparire un semplice momento di evasione, e ben venga anche questo, tende direttamente o indirettamente al sentire consapevole, alla riflessione, al rispecchiamento, alla presa di posizione, alla partecipazione, alla rimarginazione. La cultura, se ben veicolata, può divenire virale e in questo tempo pandemico ci espone all’unico contagio desiderabile!