Ma non esiste una statistica che misura con precisione il numero di esseri umani che affrontano morte sociale. I “socialmente morti” sono un crescente sezione della popolazione. I loro cuori battono ancora, i loro polmoni respirano ancora, quindi tecnicamente e fisicamente sono ancora vivi. Ma questo non è vivere come tale – è pura esistenza. La morte sociale è la degradazione e l’eventuale cessazione della capacità di funzionare come essere sociale. Succede quando sei separato dal resto dell’umanità. Il senso di appartenenza a un gruppo, cultura o luogo svanisce e alla fine scompare sotto la pressione delle circostanze, mentre i ruoli nella vita, come quelli associati all’occupazione, alla famiglia e alla comunità, sono infranti. È una realtà affrontata da molti che vivono una profonda povertà, malattie croniche, senzatetto, demenza avanzata e migrazione forzata. E per sua stessa natura, è una realtà ampiamente ignorata. (Perché abbiamo bisogno di trovare una cura per la morte sociale- Jana Králová, Università di Bath)
Comunità vuol dire tante comunità. Vuol dire comunità di comunità. La comunità perfetta è utopica, non esiste e non può esistere. Assomiglia troppo al Regno di Dio. Dunque è una meta, un traguardo, una misura infinita con cui misurare la comunità che abbiamo e che creiamo nella nostra vita. Ma il nostro problema è non avere comunità. Non essere comunità. Avere, da secoli, messo ai margini, se non distrutto, la comunità, immaginandola come un peso e una zavorra. A tutti pensa lo Stato, a me ci penso io.
Certo, poi sì vanno bene le manifestazioni di resilienza, ai balconi, nei meetings ai cellulari, ma curerei molto la creatività pubblica per alzare il morale delle truppe e di tutti. Non lavorerei solo sullo Stato di polizia, le multe, le paure, le repressioni, gracchianti auto che urlano “state a casa!”, ma punterei soprattutto sullo Stato di Poesia della mia comunità. Quanta dose di bellezza, sorpresa, speranza, sorriso, illuminazione sta circolando o dovrebbe circolare tra i cittadini. E creatori e protagonisti di questa opera di aria aperta tra i rinchiusi in casa devono essere tutti, dai bambini agli anziani. Dalle associazioni alle istituzioni.Più bellezza e poesia possibile. Non solo via social, ma nell’aria. Per le strade vuote. Nelle sere silenti. Contro il virus della morte sociale, la solitudine, la depressione e le sofferenze e le insofferenze di chi sta chiuso in casa la cura migliore è sempre quella: creare bellezza ovunque e comunque. E la bellezza più bella e la cura più efficace è creare comunità. (Creare comunità contro la morte sociale – Claudio Bernardi)