I resti umani rinvenuti in una grotta a Manfredonia (FG) in Puglia suggeriscono che 7 mila anni fa i riti funebri seguivano modalità particolarmente complesse, organizzati in più fasi ed articolati nell’arco dell’anno successivo alla morte.

In epoca neolitica, circa settemila anni fa, i riti funebri delle popolazioni che abitavano l’Italia erano particolarmente elaborati: ad una fase di presepoltura, seguiva un processo di separazione delle ossa dalla carne, ed infine una nuova sepoltura in un posto (es. grotta) dal forte significato simbolico. Oltre ai resti, venivano sepolti vasellami, utensili di pietra ed oggetti del defunto.

A Foggia (Manfredonia) uno studio sui resti scoperti nella Grotta Scaloria ha rivelato numerosi aspetti del processo di sepoltura tipico dell’epoca neolitica, processo appunto, finalizzato – si presuppone – all’elaborazione del lutto (la ricerca è stata pubblicata sulla rivista Antiquity)

http://journals.cambridge.org/action/displayAbstract?fromPage=online&aid=9543476&fileId=S0003598X14000350

L’analisi e le ricerche effettuate dall’archeologo britannico Robb sono state svolte su resti di 22 uomini vissuti nel periodo Neolitico, oltre 7 mila anni fa; le indagini hanno evidenziato una pratica della sepoltura adottata dalla popolazione locale, che consisteva nello smembramento delle ossa dei resti umani. Contrariamente a quanto avviene nelle comunità neolitiche nelle quali, la sepoltura avveniva solitamente in prossimità della dimora, collocata estremamente vicina ai loro insediamenti, i ritrovamenti nella Grotta Scaloria (Foggia), distanti 15-20km dai villaggi, fanno supporre al fatto che la popolazione avesse prescelto un luogo apposito per la sepoltura.

La cava, sconosciuta fino al 1931, ha conservato bene i resti fino a far ipotizzare agli studiosi che le ossa venissero selezionate e che il corpo non venisse sepolto integralmente, ma che nel tempo subisse due sepolture con la rimozione delle carni. Questi procedimenti erano probabilmente connessi al culto dei morte ed a pratiche che avevano a che fare con il processo di elaborazione del lutto.

Gli studiosi parlano di un lungo addio, di un processo di saluto e di congedo lungo un anno, nel quale le salme interrate venivano disseppellite, ripulite dei residui in decomposizione e disposte all’interno della grotta insieme a oggetti probabilmente appartenuti al defunto. Il gruppo di ricercatori ipotizza come questa fosse solo l’ultima fase di un complesso rituale, una sorta di tappa finale dell’elaborazione del lutto, delineato anche concretamente, da un distacco definitivo che segnava la conclusione del passaggio dal regno dei vivi al regno dei morte e l’accettazione della morte stessa.

La scelta del luogo della sepoltura, in questo caso la grotta Scaloria, simboleggiava una sorta di ritorno alle origini e di l’unione con la pietra; l’acqua (piovana o proveniente dalle falde acquifere) che filtrava dalla roccia veniva raccolta ed utilizzata come balsamo purificatore, come liquido che potesse anche proteggere e vegliare sui defunti.

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