Romanzo di Banana Yoshimoto

Hotaru, una giovane donna, torna al suo paese natale, sulle rive di un fiume, dopo aver subito una dolorosa delusione d’amore. Inizialmente il ritorno alla sua casa e il sostegno all’attività lavorativa della nonna, che gestisce un caffè, consentono ad Hotaru qualche momento di tregua dal pensiero incessante dell’abbandono. In realtà, la casa natia e le persone incontrate la inducono ad un’importante riflessione sull’assenza.  In primo luogo sull’assenza di sua madre, morta anni prima. E poi sull’assenza del padre, psicologo di successo, sempre lontano perché in viaggio per il mondo. E, infine, sull’assenza dei ricordi, soprattutto quelli che riguardano la sua infanzia. Quelli legati, in particolare, ad un ragazzo che Hotaru incontra sulle rive del fiume, ma che non riesce a collocare nel suo passato, anche se il suo viso e alcuni suoi movimenti le ricordano qualcuno che ha già conosciuto.

È difficile classificare l’assenza. Non resta altro da fare che confrontarsi con essa e con le ripercussioni che essa ha sulla nostra vita. Hotaru si lascia guidare dalla quiete del fiume, dalle parole silenziose che lo attraversano. E giunge ad importanti consapevolezze. Realizza quale impatto abbia avuto sulla sua esistenza la morte di sua madre. Ed anche l’abbandono del suo amante. Ma tra queste due assenze esiste, per lei, un’enorme differenza. La scomparsa della madre, per quanto dolorosa, ha lasciato il posto alla dimensione del ricordo. Perciò esistono molte cose che Hotaru può fare per tenere sua madre dentro di sé, per far riaffiorare tutti i ricordi, belli o brutti, per fare in modo che l’immagine di sua madre rimanga sempre accanto a lei, per darle forza e sostegno. Questo non può realizzarsi per l’uomo che ha amato. La perdita dell’amore causa una ferita insanabile, che non può, nel suo caso, essere colmata con alcun ricordo. Perché il ricordo alimenta la ferita stessa ed il rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Improvvisamente le pesano i fine settimana passati ad aspettarlo, le vacanze che non hanno potuto organizzare, i momenti che non sono riusciti a godere perché vissuti in una clandestinità senza prospettive. Hotaru capisce che l’assenza del suo amato è iniziata molto tempo prima della rottura. È cominciata con un’assenza nella quotidianità, nei pensieri, nella progettazione del futuro. Con un’assenza di condivisione. Molto probabilmente, con un’assenza dell’amore stesso.

Non è possibile classificare l’assenza. Essa può solo essere vissuta, assaporata, per far sì che il prosieguo della propria vita possa divenire più pieno. Comprendere l’assenza, accoglierla dentro di sé, consente ad Hotaru di accettare il presente e di andare incontro al futuro, facendo, passo dopo passo, memoria del passato. La ragazza giunge anche a risolvere il mistero che si cela dietro al ragazzo incontrato al fiume e che, nel frattempo, diventa un prezioso amico e compagno di riflessioni profonde.

L’abito di piume è un particolare tipo di kimono che le donne-angelo, figure mitologiche, indossano per attraversare in modo leggero il confine tra la vita e la morte. Anche noi, esseri umani, attraversiamo spesso quel confine. Lo facciamo ogni volta che ci disperiamo per la perdita di qualcuno che amiamo, ogni volta che ricordiamo il nostro passato, ogni volta che arricchiamo di significati vecchi e nuovi il nostro presente. Ma, spesso, lo facciamo con la pesantezza che contraddistingue il rimpianto, l’amarezza per ciò che abbiamo perduto. Guardiamo il passato indossando gli occhiali del presente e, facendo questo, tutte le assenze della nostra vita sembrano pesare ancora di più.

Indossare un abito di piume può renderci questo viaggio meno gravoso. È quello che è successo ad Hotaru ed è quello che può succedere anche a noi, se decidiamo di accogliere dentro di noi tutte le assenze, tutte le mancanze. Se accettiamo che la dimensione del ricordo viva dentro di noi e ci consenta di assaporare tutte le sfumature della nostra esistenza, quelle più belle e quelle più dolorose. Se scegliamo di risalire il fiume, lasciandoci attraversare dalla corrente, permettendo a tutte le persone che incontriamo di riscrivere insieme a noi un nuovo destino. Ogni incontro può essere una nuova piuma che si aggiunge al nostro kimono e che può rendere più leggero il nostro viaggio.

Monica Betti, insegnante di Scuola dell’infanzia

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