“Ricordo che a 5 anni mi ero dato un nuovo nome, John, perché tutti i cowboy si chiamavano John, e ogni volta che mia madre mi chiamava usando il nome vero io rifiutavo di rispondere. Ricordo che mi sarebbe piaciuto essere uno scoiattolo, perché volevo essere leggero e capace di balzare di albero in albero come volando. Ricordo che il mio colore preferito era il verde, e che ero certo che il mio orsetto avesse nelle vene sangue verde. E poi ricordo mio padre, come si protendeva sulla tavola per mangiare, con le spalle rigide, in un atto che gli serviva solo per alimentarsi, senza mai gustare il cibo”.
Tratto dal romanzo autobiografico di Paul Auster del 1978, il monologo teatrale riflette sulla difficoltà del rapporto padre – figlio.
Prodotto dall’Archivolto e dallo Stabile di Genova e con la regia di Giorgio Gallione, il monologo ripercorre gli aspetti salienti proposti da Auster nell’omonimo romanzo.
Dopo l’inattesa morte del padre, il protagonista si ritrova a riflettere sulla vita del genitore perduto, adulto quasi estraneo, che aveva abbandonato la famiglia da anni per ritirarsi in una profonda solitudine, lontano dagli affetti e dal calore della vita familiare. Riscopre la figura di un padre spesso assente attraverso frammenti, sogni, incubi, ricordi, oggetti e carte e riconosce la vita di un uomo che è sfuggito al mondo, nascondendosi. La ricerca del padre, spinge il figlio a riflettere sulla figura di quell’adulto così distaccato dal mondo e così affettivamente lontano da sé. Il caso, vuole che proprio il protagonista, in quei giorni si stia separando dalla moglie e dall’amato figlio: quasi come una coazione a ripetere, si trova a rivivere la medesima situazione familiare vissuta nell’infanzia che lo costringe a riflette su di sé, sul proprio padre e sul figlio.
Nell’autobiografia di Auster, così come nel monologo, la solitudine diventa oggetto di invenzione e utile antidoto al dolore della vita ed alle deludenti e traumatiche esperienze vissute; l’invenzione della solitudine può funzionare come antidoto, dome difesa dal dolore provocato dalle sofferenze e dai traumi della vita.
La figura del padre, così scoperta e riscoperta dal figlio dopo la morte, rimane quella di un uomo introverso, assente anche da vivo, anaffettivo, indifferente agli eventi importanti della vita (nascite, malattie, abbandoni), distratto, inesistente se non a tratti. È il padre stesso che inventa la solitudine come difesa dal dolore provocato dal trauma subito da piccolo, nell’essere vittima di violenza assistita ed aver visto la madre uccidere il padre.
Nella consapevolezza del rischio di rifare la storia, l’autore, nel suo bisogno di amore, disatteso da suo padre e da lui riversato sul figlio, c’è il superamento e non l’invenzione della solitudine affettiva. Attraverso la scrittura, Paul Auster parla di sé, delle proprie perdite ed abbandoni condividendo attraverso la scrittura i suoi vissuti, superando l’invenzione della solitudine del padre.
Giuseppe Battiston attore teatrale e cinematografico affermato in ambito nazionale divide la sua carriera tra il cinema e teatro; interpreta egregiamente il monologo mettendo in primo piano entusiasmi, affetti e delusioni elicitati dalla penna di Auster. Tra i suoi spettacoli più recenti Orson Wells’ Roast e Macbeth.
Prossimi spettacoli venerdì 30 e sabato 31 gennaio ore 21 presso il Teatro Archivolto di Genova (sala Modena).