TO DIE, TO SLEEP, PERCHANGE TO DREAM
W. Shakespeare, Hamlet, Act III, Scene I (1602)
Storia della malattia
La storia di questa strana malattia che affligge i bambini in cerca di asilo è giunta alla cronaca grazie ad una fotografia, l’opera vincitrice del World Press Photo del 2018, scattata dallo svedese Magnus Wennman e pubblicata sul New Yorker, che ritrae due ragazzine rom, Djeneta e Ibadeta, nutrite con sondino, mentre dormono profondamente. Arrivate dal Kosovo in Svezia insieme con la famiglia, entrambe sono affette da “Resignation Syndrome”. L’hanno chiamata in tutti i modi: “malattia della bella addormentata”, “stato catatonico”, “apatia”; eppure definire esattamente la “uppgivenhetssyndrom” (il termine originale svedese), continua ad essere complicato perché, ancora oggi, questo disturbo che sembrava affliggere solo i figli dei migranti in Svezia, rimane poco conosciuto.
Già nel 1991 era stata descritta da Lask e colleghi (Lask B. et al, 1991) la Pervasive Refusal Syndrome (PRS): I bambini colpiti soffrivano di una condizione a rischio di vita, con estrema riduzione delle funzioni con un profondo e pervasivo rifiuto a mangiare, bere, camminare, parlare e prendersi cura di sé stessi. In modo caratteristico questa condizione era accompagnata da una ostinata resistenza all’essere aiutati.
Il più recente termine “Resignation Syndrome”è stato riconosciuto dal Ministero Nazionale Svedese per la Salute e il Benessere per ragioni epidemiologiche. La sindrome da rassegnazione è classificata tra i disturbi depressivi e pensata per offrire una soluzione pragmatica ad una controversia fenomenologica. I criteri diagnostici sono stati determinati da Sallin (Sallin et al, 2016) e qui di seguito riportati (Box 1)
BOX 1
Caratteristiche cliniche della RS
Prodromi
Ansia, disforia, disturbi del sonno, ritiro sociale
Deterioramento
Mutismo, mancata partecipazione ad attività, fallimento nella comunicazione non verbale
Completo sviluppo
Stupor, non responsività/negativismo, immobilità, incontinenza, non reazione a stimoli dolorosi inclusi riflessi, dipendente da alimentazione parenterale e assistenza completa, tachicardia, temperatura elevata, occasionalmente sudorazione diffusa, occasionale iperventilazione, atrofia muscolare, periodi di eccitabilità ansia e rifiuto, esami neurologici di routine normali, ipotonicità (a volte codificata come paralisi flaccida), riflessi che generalmente rispondono ma deboli, occhi aperti o chiusi che non permettono un’apertura passiva, pupille reattive alla luce ed occasionalmente responsive alla minaccia, occhi deviati dall’esaminatore e che appaiono non vedere, scatti, indicazioni di consapevolezza preservata, EET e TAC dell’encefalo, esami di laboratorio inclusi quelli tossicologici insignificanti.
Remissione
Generalmente avviene in modo con ordine (stretta di mano o apertura degli occhi senza contatto visivo; contatto visivo; annuendo e partecipando attivamente nell’alimentazione; abilità motorie grossolane; abilità motorie fini; comunicazione verbale) Indicazioni di vari gradi di amnesia. Completa guarigione senza sintomi residui o deficit.
A soffrirne sono prevalentemente bambini e ragazzi tra gli 8 e i 15 anni che improvvisamente cadono in uno stato di torpore profondissimo, incapaci di rispondere a qualsiasi stimolo vitale, faticano a svegliarsi e vengono nutriti con un sondino.
Anche se le cause non sono chiare, così come non è chiaro perché la malattia sia stata identificata soprattutto in Svezia, si ritiene che la sindrome colpisca prevalentemente i bambini e gli adolescenti con una storia di migrazione, soprattutto se il processo di richiesta del permesso di soggiorno si rivela particolarmente lungo e complicato.
Il primo a descriverla fu il pediatra Bodegard della Clinica Psichiatrica Pediatrica del Karolinska Institut di Stoccolma, un luogo che divenne il ground zero per la sindrome. Segnalò cinque bambini, tutti arrivavano da quella che era la Repubblica Sovietica. Inizialmente egli attribuì la condizione a quella che chiamò “lethal mothering”: la maggioranza delle madri del campione di Bodegard aveva subito abuso fisico e sessuale ed erano descritte come profondamente traumatizzate. Nel loro comportamento vi era mancanza di fiducia, rifiuto di informazioni mediche che escludevano la malattia fisica come causa della condizione e resistenza al trattamento e alla riabilitazione per il figlio. Nell’interpretazione di Bodegard questa attitudine e il comportamento corrispondente potevano essere percepite come parte di una strategia di coping attraverso la quale la situazione della madre traumatizzata e depressa e il bisogno di consolazione veniva proiettato da sé stessa su suo figlio. La madre crea una fantasia elusiva come se il figlio stesse morendo e il bambino agisce per mantenere il diritto ad essere il figlio di sua madre, una follia a due che porta a pensare ad una situazione seriamente disturbata. Attraverso il ‘‘lethal mothering’’ la madre inconsciamente crea e mantiene una situazione nella quale trova significato nel prendersi cura di un bambino che immagina come morente, e che a sua volta colpisce il bambino e promuove il sorgere e la progressione della malattia.
Lo stesso Bodegard in un lavoro seguente (Bodegard G, 2010) scriveva degli effetti letali di una apatia culturale e distingue il suo campione dal punto di vista diagnostico: tutti i bambini venivano da famiglie di rifugiati, nessuno di loro aveva storie psichiatriche per spiegare il loro stato attuale, ma a tutti era stato recentemente negato l’asilo.
In una lettera aperta al Ministero della Migrazione svedese, 42 psichiatri hanno dichiarato che alla base della sindrome vi sono le nuove restrizioni sui richiedenti asilo e il tempo impiegato per processare le domande, per cui le persone sono costrette in un limbo per anni, una situazione definita dagli psichiatri «un abuso infantile pubblico sistematico». Lo scetticismo iniziale sulla veridicità della sindrome è stato ormai cancellato dall’opinione diffusa della comunità internazionale, per cui dietro la malattia vi sono due traumi fondamentali: gli abusi subiti nel Paese di provenienza e la paura, dopo essersi ambientati in Svezia, di essere rimpatriati. Nel 2017 sono stato registrati 60 casi di Resignation Syndrome in Svezia.
Dall’altra parte del mondo casi simili sono stati segnalati nel 2018 nell’isola di Nauru, dove sono trasportati tutti i richiedenti asilo che cercano di entrare in Australia (Isaac D, 2019).
Tra il 2013 e il 2019 circa 200 bambini che richiedevano asilo in Australia sono stati detenuti nell’isola di Nauru. Nel 2018, dopo più di cinque anni di presenza nell’isola, almeno 15 di questi bambini avevano sviluppato la PRS. In seguito ad una prima segnalazione di Medici Senza Frontiere e poi ad azioni legali intentate da varie associazioni contro il Governo Federale e da una forte azione sull’opinione pubblica, i bambini sono stati trasferiti con le loro famiglie sulla terraferma per cure mediche urgenti in ospedali attrezzati, la maggior parte in Australia e alcuni anche in USA.
Vita sociale della sindrome
Secondo Kirmayer (Kirmayer L, Gomez-Carrillo A, 2019) la RS è diventata visibile in un contesto di tensione sociale in aumento sull’immigrazione, con aumentata paura e prudenza o anche rifiuto nei confronti dei rifugiati in molte nazioni che storicamente si sono ritenute impegnate in una ricezione positiva per coloro che cercano asilo. Nel mezzo dell’agitazione politica e dei report dei media che hanno costruito una narrativa di “come politici compiacenti, giornalisti insospettabili, estremisti organizzati dell’ala destra, dottori potenti e psichiatri creano un’immagine del così detto “bambino apatico”, in un Paese che si è per lungo tempo considerato come un modello internazionale per l’immigrazione e i diritti dei bambini, non è sorprendente vedere uno sforzo vigoroso per trovare spiegazioni neurobiologiche di tali sintomi allarmanti.
Quale sia il modello causale che uno adotti non è difficile immaginare come la RS possa essere messa in dubbio e aver disturbato il processo di migrazione dei bambini rifugiati in Svezia. L’incertezza che domina la loro difficile situazione esistenziale, la mancanza di speranza e la perdita di senso di controllo probabilmente sono trasferite nel sentimento che nessuna azione riporterà il controllo, e questo senso di mancanza di controllo potrebbe contribuire al loro profondo ritiro.
La storia di RS mette il punto sulla necessità di miglioramenti concettuali nel nostro capire l’azione, per andare oltre il pensare dicotomico imposto dal perdurante dualismo mente-corpo.
Paola Miglioranzi, pediatra di famiglia
Bibliografia
Antonovsky, A. (1987). Unraveling the mystery of health: How people manage stress and stay well. Jossey-Bass.
Bodegard G. Pervasive loss of function in asylum-seeking children in Sweden. Acta Paediatrica 2005; 94: 1706-1707
Bodegård G. Depression-withdrawal reaction in refugee children. An epidemic of a cultural-bound syndrome or an endemic of re-traumatized refugees? Acta Paediatr. 2010 Jul; 99(7): 959.
Isaac D. Pervasive refusal Syndrome and Nauru. Journal of Paediatrics and Child Health, 2019, 55: 127-128
Kirmayer L.J, Gomez-Carrillo A. Agency, embodiement and enactment in psychosomatic theory and practice. Med Humanit 2019; 45: 169 -182.
Lask B, Britten C, Kroll L, Magagna J, Tranter M. Children with pervasive refusal. Arch Dis Child 1991; 66: 866-9
Newman L, O’Connor B, Reynolds V, Newhouse G. Pervasive refusal Syndrome in child asylum seekers on Nauru. Australasian Psychiatry 2020: 1-4.
Sallin K, Lagercrantz H, Evers K, Engstrom I, Hjern A, Petrovic P. Resignation Syndrome: Catatonia? Culture-bound? Front Behav Neurosci 2016: 10.7