Tra il primo e il secondo miglio della via Appia Antica, precisamente al civico 39, in una piccola porzione di terreno compreso tra le Mura Aureliane e la Chiesa del “Domine Quo Vadis”, gli archeologi dell’Università di Ferrara stanno portando alla luce i resti di una necropoli romana di età imperiale. Le indagini, partite nel settembre 2022 e ancora in corso, emozionano sia gli addetti ai lavori che il folto pubblico che partecipa direttamente allo scavo sia in presenza, grazie alle visite guidate e a esperienze dedicate, che a distanza, seguendo costantemente gli sviluppi delle indagini sui canali social del progetto. 

La ragione? È molto semplice. Indagare una necropoli – una “città dei morti” come bisognerebbe tradurre dal greco antico – pone diversi quesiti di carattere scientifico ma anche “umano”. Infatti non si tratta solamente di studiare le strutture che emergono dalla terra dopo secoli di oblio, di dar loro una datazione e un’identità o di ricomporre gli antichi manufatti ricostruendoli con pazienza da decine di frammenti – come accade nella maggior parte degli scavi –, ma anche e soprattutto, di saper cogliere l’essenza di quella antica società,  di ridare un’identità ai defunti, di ricostruirne la storia ricongiungendoli all’epoca in cui hanno vissuto e della quale, spesso, ci restano solo i pochi oggetti del corredo.

Ecco, dunque, che tornano in mente le parole di Seneca “ci vuole tutta la vita per imparare a morire”: come si impara a morire? Come ci si prepara al lutto, nel mondo romano? Quali sono i riti che accompagnano il defunto nell’aldilà? Come si gestiva il dolore allora? Può il mondo antico rappresentare un termine di confronto per comprendere oggi il proprio dolore? Può l’archeologia diventare un mezzo per affrontare le proprie perdite e riconciliarsi con il proprio passato?

Partendo dal dato più strettamente archeologico, proveniente da contesti di scavo come quello di Appia Antica 39, e attingendo alle fonti storico – epigrafiche e agli studi pregressi, archeologi e storici, mediatori tra il mondo antico e quello contemporaneo, possono provare a rispondere a queste domande impostando una riflessione che si basa sulla conoscenza della cultura antica. Tuttavia, è l’incontro e la contaminazione tra discipline diverse, in particolar modo tra gli studi archeologici e quelli psiconalitici, che può rendere davvero effettivo il dialogo tra i due mondi – l’antico e il contemporaneo -, sviluppando nuovi approcci di ricerca scientifica e di analisi del sé. È noto, d’altronde, come lo stesso padre della psicanalisi, Sigmund Freud, utilizzasse il confronto con i metodi della ricerca archeologica per illustrare le proprie innovative teorie psicoanalitiche. 

Sfida raccolta dai laboratori dell’Università di Ferrara “EceC – Eredità Culturali e Comunità” e da “Uno sguardo al Cielo”, che dalla primavera del 2024 hanno dato vita al progetto di ricerca “Comunicare il tema del lutto nell’antichità: la costruzione di nuove tracce narrative sui rituali funerari della cultura romana” basato sullo scavo “Appia Antica 39” (https://linktr.ee/appiantica39). 

Insieme abbiamo creato un laboratorio narrativo interdisciplinare, volto da una parte a valorizzare la necropoli di Appia Antica 39, conferendo nuovamente significato e voce agli oggetti rinvenuti nello scavo, dall’altro a individuare nuovi approcci di analisi e comprensione della propria storia personale tramite l’archeologia, quale metodo attivo per riconciliarsi con il proprio passato. I reperti archeologici diventano protagonisti e raccontano le proprie storie, nate dalla creatività di studenti e studentesse del corso di laurea in “Manager degli Itinerari Culturali” e pensate per bambini, adolescenti e giovani adulti. Elementi imprescindibili di cui queste storie dovevano tenere conto: la correttezza della ricostruzione storica e il coinvolgimento dal punto di vista emozionale. Buona lettura!

Paola Bastianoni, Rachele Dubbini, Chiara Maria Marchetti, Silvia Baraldi, Marco d’Alessandro