Matteo B. Bianchi, dopo più di vent’anni, trova il coraggio di scrivere sul suicidio del suo compagno S., di cui non sapremo mai il nome. “Si è impiccato. Non l’avevo ancora detto. Ho impiegato venti pagine per trovare il coraggio di scriverlo”. Ricordando quei giorni e quegli anni, Bianchi si rivolge alla scrittura come ad una terapia per l’elaborazione del lutto. Rivive fin dall’inizio le sensazioni, le emozioni e i sentimenti contrastanti che ha attraversato. “Cambia casa. Parti. Fai una vacanza. Cambia aria. Vai in analisi. […] Confidati con un prete.” Lui e S. non stavano più insieme ormai da alcuni mesi ma questi, per Bianchi, rappresentava sempre una persona importante della sua vita, tanto da avergli lasciato le chiavi di casa. La prima parte del testo è concitata, frammentaria e disorientante: “Lo odio, ma allo stesso tempo sento di non poterlo odiare. […] Mi dibatto dentro sentimenti opposti, di odio e amore, di rabbia e compassione, […] di forze antagoniste che mi stritolano. Neanche questo riesco a capire. Cosa provo?”. L’autore si serve di uno stile letterario che rende molto bene l’idea di ciò che ha provato. Le persone da lui frequentate, siano amici, colleghi, professionisti o pranoterapeuti vengono trattate con gratitudine, ma anche con superficialità e sufficienza. Si autoinfligge la solitudine, perché convinto che solamente chi abbia vissuto questo trauma sia capace di comprendere. Flashback, pensieri, riflessioni, rivisitazioni del dolore sono così ben costruiti da permetterci di percepire la sensazione dello scorrere del fuoco nelle vene dello scrittore. Proseguendo con la lettura, il fuoco, l’incendio indomabile, diventa un camino acceso, che sprigiona tepore e una dolce nostalgia. Nella seconda parte del libro, le descrizioni e i racconti, divenuti più organizzati, rispecchiano una calma interiore che lentamente si sta prefigurando, così come i vocaboli usati, meno aggressivi e più semplici. E’ in atto un cambiamento che si paleserà nelle ultime pagine, quando Bianchi racconta l’incontro con Alberto, colui che diverrà l’uomo della sua vita. Confida a lui: “Due anni fa il mio migliore amico si è suicidato. Per me era come un fratello. Da allora sto malissimo’. […] Siamo due sopravvissuti che si sono appena incontrati in quest’isola deserta di gente intorno che beve, ride e balla.” Grazie al suo compagno, comprensivo e deciso a svegliarlo da uno stato di sopravvivenza, l’autore potrà cominciare a reagire e a vivere: “Che tu sia felice, S., che davvero tu possa aver trovato la tua pace, io con Alberto so di aver trovato la mia […], non smetterò mai di odiarti ma soprattutto non smetterò mai di amarti.”.
Ilaria Bignotti, psicologa
Matteo B. Bianchi, “La vita di chi resta”, ed. Mondadori, Milano, 2023