La Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, celebrata per la prima volta nel 2003, cade ogni anno il 10 settembre, secondo il calendario della Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).

La OMS stima che ogni anno nel mondo muoiono circa un milione di persone per suicidio. Questi numeri rappresentano un tasso di mortalità per suicidio di 14,5 su 100.000 abitanti. In Italia, i suicidi nel 2015 sono stati pari a 3.935, vale a dire il 6,5 ogni 100.000 abitanti, e il numero di persone che si tolgono la vita oscilla ogni anno tra 3.500 e 4.000, con netta prevalenza tra gli uomini rispetto alle donne (tre volte di più).

Il suicidio rappresenta la prima causa di morte tra i giovani dai 15 ai 25 anni di età e in Italia è la seconda dopo gli incidenti stradali.

Se vengono, poi, calcolati i tentativi di suicidio, si puo notare come il fenomeno suicidario sia ancora più grave e riconosciuto come vera e propria emergenza sanitaria che investe strati sociali sempre più ampi senza differenza di ceto, genere ed età. Il desiderio ed il tentativo di suicidio è preceduto sempre da profondo malessere ed aumenta inevitabilmente il rischio di porre fine alla propria vita. L’OMS ritiene che sei suicidi su dieci siano preceduti da almeno un tentativo. Un fenomeno gravissimo, che impone conoscenza, riflessione, rimedio.                                                                                                                         

La Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio fornisce l’occasione e crea presupposti per organizzare a livello locale, regionale e nazionale attività che approfondiscano la consapevolezza del fenomeno e accrescano l’impegno alla prevenzione e al superamento di comportamenti suicidari. Una immensa sfida che la comunità deve raccogliere, divenendo sempre più capace di ascolto del dolore delle persone e in grado di intervenire, ai diversi livelli, con delicatezza, empatia, tempestività e professionalità.

Approcciarsi, infatti, ai fattori che precedono la crisi suicidaria, valutarne i rischi reali, mettere in atto reti di protezione è il punto essenziale e di partenza per affrontare e prevenire l’irrimediabile.

Se fattori di rischio possono essere, e lo sono, lutti, elevata conflittualità famigliare, maltrattamento infantile, malattie croniche o disturbo psichiatrico di un genitore, disturbo specifico di apprendimento, orientamento sessuale, adozioni non accettate, aspettative sociali irraggiungibili, amicizie devianti, mass-media, ecc., ancora più nocivo può diventare l’attuale sistema economico che brucia denaro ed energie, utilizza e sfrutta risorse per poi espellerle quando non servono più, come se si trattasse di eccedenze umane o cascami di produzione. Così, la perdita del lavoro crea una spirale negativa i cui effetti perversi si manifestano in tutte le dimensioni individuali. E’ mediante il lavoro che si esercita la cittadinanza poiché esso rappresenta un fondamentale strumento di inclusione sociale: in una Repubblica fondata sul lavoro, la partecipazione alla vita sociale ed economica passa necessariamente attraverso la conquista di un reddito e di una collocazione professionale o lavorativa. Il lavoro è a fondamento dell’identità personale ed aiuta a trovare un posto nel mondo. Chi lo perde si sente inutile.

Alessandra Chiaromonte

                                       

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