Ogni care-giver conosce emotivamente l’importanza di questa immagine: bambini/e che giocano con bamboline/pupazzetti o che mettono in scena drammatizzando questi piccoli sketch:

“Ciao ciao, io vado al lavoro” …e il pupazzo scompare per un secondo…

e poi ritorna:

“Ciao ciao: sono tornata/o!” E poi un bell’abbraccio.

Di nuovo: “Ciao ciao, io vado al lavoro” e dopo un baleno:

 “Sono tornata/o!” e così ancora, ancora e ancora…

Nella mia mente è impressa questa scenetta ripetuta dai mei figli dopo i primi giorni di inserimento all’asilo. Tali giochi e drammatizzazioni permettono di anticipare le prime separazioni, sublimano nel gioco tante emozioni e ripetendole/rivivendole infondono sicurezza e speranza ad ogni bambino/a.

Ma quando dal lavoro non si torna cosa succede alla mente dei/lle bambini/e e delle persone che restano? Cosa accadrà ogni volta che sentiranno dire o diranno: “Vado al lavoro!” oppure, “A che ora stacchi dal lavoro oggi?”, o ancora: “Stai cercando lavoro?”. Domande banali, di quotidianità che nasconderanno per sempre il trigger/grilletto del trauma.

Freud sosteneva che per trovare benessere psicologico le persone dovevano essere in grado di amare e di essere amate oltre che trovare passione nel proprio lavoro. Ma se il lavoro o gli stage invece ti uccidono o uccidono le persone che ami? E se i dati su queste morti dicono che andare a lavorare continua ad uccidere e che sono addirittura sottostimati per via del lavoro nero?

Nel 2008 è stata pubblicata da Caparezza una canzone-denuncia su questo tema. Forse, la canzone più famosa in Italia su questa tematica, si intitola: “Vieni a ballare in Puglia”. In molti l’abbiamo cantata e ballata a ritmo di tarantella; il testo era potentissimo a dispetto della leggerezza del suo ritmo:

Tieni la testa alta quando passi vicino alla gru
Perché può capitare che si stacchi e venga giù

 È vero qui si fa festa ma la gente è depressa
e scarica
Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi
assumere in fabbrica
Tra un palo che cade e un tubo che scoppia in quella
bolgia si accoppa chi sgobba
E chi non sgobba si compra la roba e si sfonda finché
non ingombra la tomba

I dati Istat ribadiscono che le morti cosiddette “bianche” non si sono fermate ma sono aumentate dal 2008. Morti che di bianco non hanno nulla. Le bare bianche sono sempre state quelle innocenti, quelle dei bambini/e; invece, queste morti nella maggior parte dei casi non ha nulla di puro o incolpevole. Spesso potremmo associargli un colore diverso no? In molti casi hanno diverse responsabilità, leggi sulla sicurezza poco rispettate, contratti “farlocchi” senza nessuna forma di tutela, alternanze scuole-lavoro poco garantite insieme a storie di profonde ingiustizie economiche e padronali.

E chi resta?  Chi resta sono: figli/e, compagni/e, genitori, nonni/e, amici/che, che vedranno una tragedia spezzare un ciclo di vita prematuramente in modo iniquo e drammatico. E cosa farà chi resta? Chi resta farà causa.

E nella vita di tutti i giorni? Cosa capiterà? Gli studi sul trauma ci dicono che spesso il loro sistema nervoso sarà colpito da questo evento tragico sotto diversi aspetti. Per sopravvivere, per proteggere la persona il sistema potrebbe reagire con forti attivazioni da parte del sistema nervoso simpatico presentando risposte come ad esempio: intense paure, attacchi di panico, incubi, continua iper-vigilanza e impulsività (con comportamenti a rischio: dipendenze da alcool o da sostanze oppure disturbi alimentari). Oppure, potrebbe subire una forte attivazione del sistema parasimpatico sviluppando un comportamento controllato, remissivo e con reazioni di depressione e congelamento (comportamenti di ritiro sociale, depressioni…).

Ad oggi in Italia, l’attribuzione dell’origine lavorativa di un evento infortunistico sul lavoro o della morte di un lavoratore è un processo proceduralmente sufficientemente definito per i dati che riguardano l’integrità fisica; lo stesso percorso e riconoscimento resta difficile e praticamente straordinario relativamente alla salute psichica del lavoratore o per i familiari del lavoratore morto sul luogo di lavoro. Investire in prevenzione, sicurezza sul lavoro ad ogni livello credo sia eticamente doveroso oltreché un risparmio. Le spese per rendere sicuro e protetto il posto di lavoro non possono essere un disincentivo alla crescita economica e occupazionale poiché le morti e gli infortuni lavorativi producono costi che incidono enormemente sui bilanci di previdenza, sanitari e nazionali sia da un punto di vista fisico che psicologico.

Licia Barrocu

Discografia

  • Caparezza., 2008, Vieni a ballare in Puglia, in Le dimensioni del mio caos, Transeuropa, Torino (Italia).

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