La prima cosa che ci domandiamo, prendendo in mano il libro di Piero Balzoni, è quale sia il significato del titolo “Vita degli anfibi”. La metafora dell’anfibio caratterizza la struttura del romanzo: il testo, infatti, viene suddiviso nelle tre fasi del ciclo vitale dell’anfibio, larva, girino e rana che corrispondono alle fasi di crescita della protagonista e alla sua elaborazione del lutto. Dalla bambina e ai sensi di colpa verso l’assenza, passiamo ai suoi tentativi, da giovane, di compensare la mancanza fino a giungere a una crescita vera e propria grazie all’accettazione dell’assenza.
Già dall’incipit compare il senso di colpa della protagonista “Di tutte le figlie sono stata la peggiore. Di tutte le figlie possibili, di tutti i fratelli e le sorelle che non ho mai avuto, di quelli conosciuti e degli altri, dei dimenticati. Una stella triste, un astro mai nato.” Tante domande la tormentano: il padre sarà andato via per la vergogna di non averle fatto un regalo per il suo compleanno? Perché lei incomincia a non ricordare più nulla di lui? Perché ha dimenticato le ultime parole che le ha detto prima di andarsene? Non contano le rassicurazioni degli adulti, ha un pensiero ricorrente in testa: se lo avesse trattenuto con lei a giocare, egli non sarebbe andato via. Senso di colpa rafforzato dall’impossibilità di liberare la figura del padre dai ricordi della madre permeati dall’accusa rivolta al marito di avere una propensione ad abbandonare la famiglia e vissuti dalla bambina in modo colpevole: «Io e lei eravamo il problema», afferma la protagonista, «io e lei che non stavamo mai attente e che a forza di non stare attente gli avevamo rovinato la vita. Io e lei piene di cose, la casa piena di cose».
La bambina, ormai ragazza, alterna momenti in cui prende atto della scomparsa del padre, “l’assenza di papà dovevamo guardarla in faccia (io e la mamma), sapere che non eravamo mai complete. Lui mancava sempre, ogni anno”, ad altri in cui continua a voler credere in un suo ritorno. Nell’intento di riappropriarsi dell’immagine del padre, la seguiamo nella ricerca di quegli oggetti e di quei luoghi da lui vissuti e a lui appartenuti: il caseificio, dove l’ha visto l’ultima volta, i regali per quando tornerà, le storie fantasiose da lui raccontate tra le quali, la preferita, quella del “dio del lago” che avvera a ciascuno un solo desiderio in tutta la vita, a patto che l’eletto gli porti un “dono di luce”. Inevitabile, in questo meccanismo di appropriazione non attuare, per controllare il dolore attorno all’assenza, una reinvenzione della figura paterna “Di chi era colpa se sua figlia, la loro unica figlia, quando le chiedevano com’era fatto suo padre s’inventava un’altra persona? Una persona che lei sperava di vedere tornare a casa la sera, una persona che raccontava storie e costruiva Lego e la portava al circo e passava il suo tempo a giocare e a insegnarle cose sul mondo.”
Diventata donna, comprende la storia del dio del lago: “il dono di luce” è lei stessa. Niente e nessuno potrà restituirle il padre, a parte lei che, nel mettere in ordine i suoi ricordi e gli oggetti e i luoghi condivisi con lui, riuscirà a ristabilire la sua presenza nell’assenza e a creare, dalla mancanza, una nuova possibilità di vita.
Consapevolezza acquisita anche grazie all’incontro con Giulio, il padre della sua coinquilina deceduta il giorno stesso del loro primo incontro, “si chiamava Giulio e aveva una cartoleria sulla strada del liceo. Dall’aspetto sembrava che non avesse fatto altro per tutta la vita.” Lei organizza il materiale disordinato raccolto dal padre di lui e crea nel retro della cartoleria, in sua memoria, una emeroteca e una biblioteca. Si prendono cura l’uno dell’altro, tanto che lei si convince ad accettare di occuparsi del caseificio lasciato in eredità dal proprietario. È diroccato, fatiscente, ma da qui, da dove è avvenuta la scomparsa del padre è possibile per lei, con la presenza di Giulio, ricominciare a vivere. La metafora dell’anfibio si completa: raggiunto lo stadio adulto, è finalmente in grado di abbandonare il rifugio che l’ha accolto ma rimarrà per sempre legato all’ambiente acquatico da cui ha preso origine.
Ilaria Bignotti Faravelli, psicologa
Piero Balzoni, “Vita degli anfibi”, ed. Alter ego, Viterbo, 2023